VENERDI’ 11 MARZO’022 alle 9,30 @ VIA MASCARELLA, davanti alla lapide che ricorda l’omicidio di Francesco Lorusso + alle 18,30 @ VAG61, via Paolo Fabbri 110
> > > Su Zic.it: In via Mascarella, nel nome di Francesco Lorusso (foto)
Iniziativa a cura del CentroDoc “Lorusso-Giuliani” e Vag61
– alle 18,30: apertura della mostra “1977: l’anno che non finì” (esposizione di manifesti, giornali, fanzines e foto)
– alle 18,45: presentazione de “Il cerchio di gesso. Antologia (1977-1979)” alla presenza di uno dei curatori, Giulio Forconi
– alle 20,15: cena sociale (per sostenere le attività di Vag61)
– alle 21,15: presentazione della figurina su Francesco (realizzata dall’Associazione Figurine Forever per progetti di solidarietà)
– alle 21,30: “Immagini, parole e suoni sul movimento 77”
Reading con letture tratte da “Sulla guerra incivile del Dams” e “Ballate sediziose”, con Erika Cavina e Claudia Grazioli / Proiezione del videorivoltoso di vita breve realizzato dal collettivo Dodo Brothers (settembre 1977) / Note e canzoni a cura di Chiara Di Stefano e Marco Tabilio
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Il cerchio di gesso. Antologia (1977-1979)
A cura di Vittorio Boarini, Giulio Forconi, Giorgio Gattei. Il titolo della rivista “Il cerchio di gesso” non era ispirato all’omonima opera di Bertolt Brecht ma ai rilievi della polizia scientifica in via Mascarella, il gesso era quello che cerchiava i fori dei proiettili sparati dai carabinieri contro Francesco Lorusso. La rivista aveva in copertina i buchi numerati e segnati di bianco sul muro della via dove l’11 marzo era stato ucciso lo studente di Lotta continua. In questo modo si alludeva chiaramente alla funzione del giornale che si poneva l’obiettivo di “cerchiare” i fatti e di “coagularsi” intorno ad essi. “Il cerchio di gesso” non era una “rivista fiancheggiatrice” del movimento, anche se accolse di buon grado la collaborazione di ragazzi impegnati nel movimento, che infatti parteciparono, in piena autonomia, al lavoro redazionale. La “carsicità” dei percorsi sotterranei del movimento e le sue latenze non influenzarono la continuità del periodico, che venne definito una “rivista del dissenso”, per questo molto diversa da tutte le riviste sorte attorno al ’68 che venivano concepite come strumenti di propaganda politica e di lotta ideologico/dottrinaria.
Nel movimento del ‘77, però, i fondatori e i redattori della rivista (tra cui Gianni Scalia, Roberto Bergamini, Giulio Forconi, Pietro Bonfiglioli, Vittorio Boarini, Federico Stame, Paolo Pullega, Maurizio Maldini, Gianni D’Elia, Roberto Roversi ed altri) riconoscevano quell’evento rivelatore che trascinava con violenza al centro della contraddizione. Al centro del cerchio. Se la condizione costitutiva di quella che veniva chiamata la “società totale” era l’esclusione della critica, se il ruolo della politica dei partiti si riduceva all’organizzazione del consenso, allora la contraddizione poteva manifestarsi solo fuori dal contesto sociale ufficiale, nell’esistenza non socializzabile degli esclusi. Se la società si faceva “totale e assoluta”, chi non rientrava nei suoi criteri funzionali veniva emarginato nella cosiddetta “seconda società”, perciò il movimento giovanile venne salutato come un sintomo emergente di un necessario antagonismo a quella socializzazione emarginante.
La rivista si presentava così: «Il dissenso è critica senza sicurezza, è pensiero del di fuori, che si radica nell’esclusione. La sua fenomenologia è varia; perciò la rivista non ha una ideologia, essendo piuttosto critica dell’ideologia; non ha una linea politica, essendo piuttosto critica della politica». Sfogliando il primo numero, coi suoi caratteri gotici e austeri, sembrava che non si fosse all’inizio di un discorso, ma piuttosto si era davanti al suo proseguimento: gli articoli sulla repressione o sul tecno-fascismo tiravano i fili di esperienze lontane, ma che avevano l’umiltà di ritornare sempre ai fatti. Dar conto della infinita mole di materiale pubblicata da “Il cerchio di gesso” è impresa impossibile, anche perché ogni frase di quasi tutti gli interventi racchiudeva mille linee direzionali. Si scorgeva l’elaborazione di uno dei temi più necessari emersi nel movimento e cioè quello della legittimità dell’opposizione al capitale e allo Stato: non di un’opposizione che passivamente accettasse la tecnologizzazione e si facesse sua “costruttiva” complice, ma di un’opposizione radicale che si ponesse ancora le “domande sul senso della vita”.
Nelle pagine della rivista il movimento e il compromesso storico furono, di volta in volta, analizzati e sezionati, insieme ad alcuni fatti diversi di vita politica e di cronaca italiana e non. Che l’ombra di Officina (la rivista che anni prima avevano fatto Roversi, Scalia, Pasolini e Leonetti) si scorgesse dietro ogni facciata era abbastanza evidente, così come il bisogno mai placato di entrare con il proprio lavoro di scrittori, critici e poeti nelle cose e nei fatti.
Ciao mamma ciao papà
Autori: Dodo Brothers, Bologna
Data: settembre 1977
Dodo Brothers. Gruppo videorivoltoso di vita breve (1977-1979) fondato a Bologna da Andrea Ruggeri, Luciano Capelli, Ambrogio Vitali studenti del DAMS, e con la straordinaria presenza di Alberto Grifi. Il lavoro collettivo è stato largo, e ha coinvolto via via altri (Vanni Riccottini, Enzo Calabrò, Gianni Celati, Alberto Carcangiu, Riccardo Albini, etc). I Dodo avevano provenienze diverse: Lotta Continua, Radio Alice, DAMS, Circoli Giovanili di Milano. Questa eterogeneità è stata una vera fortuna espressiva. I Dodo facevano video dadaisti e sgangherati con la complicità e la comicità dei loro consimili. Niente a che fare con l’ideologia dura e pura del cinema militante. Quello che hanno lasciato sono decine di ore registrate che mettono in pista una gioventù ancora attualissima. Chiamarsi Dodo fu premonitorio, dandosi il nome di un uccello estinto sapevano già che sarebbero presto spariti. Le immagini video sono state restaurate dalla Cineteca di Bologna che ora detiene l’intero archivio dei Dodo Brothers. Così è andata.
Chiamiamolo corto video ribellesco. Ecco la storia: nel settembre 1977 durante il convegno del Movimento a Bologna i Dodo vengono contattati da un gruppo di documentaristi di RAI 2, sono di area sinistra socialista, e hanno alle spalle una lunga esperienza di giornalismo d’inchiesta. La loro proposta, in aperto conflitto con i vertici aziendali, è che il Movimento dica la sua autoproducendo un proprio video di 15 min, lo inseriranno blindato e senza censure in un programma di un’ora nella loro rubrica televisiva Primo Piano a quel tempo molto seguita. Dopo una lunga trattativa i Dodo accettano assumendosi tutte le responsabilità di raccontare un mondo, il loro. A quel tempo nessuno delegava nessuno e tutti comunicavano con tutti, quindi ciascuno fa quello che gli pare.
Ciao Mamma Ciao Papà: il titolo viene d’istinto, eravamo tutti degli scappati di casa, e dire ai nostri genitori che eravamo dementi in strada ma presenti in televisione, forse li tranquillizzava, o forse no. Poi c’è il clima mediatico: il PCI scatena tutto il suo apparato di propaganda, parla di delinquenti, provocatori, sovversivi, ingaggia magistrati, militanti, intellettuali, il governo non è certo da meno. La leggerezza e l’ironia contro la pesantezza paranoica, in 15 minuti. Il giorno della messa in onda l’audience spacca. Non c’è niente da
aggiungere, solo da vedere. Così è andata.
Sulla guerra incivile del Dams
Breve manuale dadadams di cui è autore “Martricola 13”, cioè quello che fu il tredicesimo iscritto al DAMS. Ma chi sia la Matricola 13 è del tutto irrilevante. Il libretto è scritto al presente e resuscita autori caduti nell’oblio. Contiene “inedite falsità” e “dimenticate verità”. Bologna è la città italiana dove qualcuno inizia a trasmettere via radio e così Radio Alice e le sue frequenze diventa un posto dove rifugiarsi, almeno temporaneamente. Bologna è una sorta di oltrecortina padana, forse la più controllata delle città italiane, un posto dove il PCI maneggia sicuro ogni cosa: “Una grande università a buon mercato, una grande libreria Feltrinelli, una grande quantità di roba da mangiare, un grande (strombazzato) benessere per il popolo. Mica se ne accorgono dei “non garantiti”… non contano un cazzo. Il libello descrive lo “spreco umano debordante del Dams”: una gioventù accattona che non gli frega di diventare commercialista.
Vite sprecate nella notte, dove ci si allena a stare il più svegli possibile in una città che è come una scenografia messa su da Escher, e poi al sorgere della luce cammini chilometri finché non ti viene fame, allora entri in aula con un panino, ti siedi, ti riposi, e mastichi aspettando che qualcuno ti spieghi qualcosa… E poi di nuovo la notte, una bottiglia di rosso in quattro e ancora panini, panini…giorno, piatto caldo alla mensa universitaria, merda a 500 lire. “Gli studenti che si sono sprecati nel DAMS dei settanta fino ad oggi sono metà morti per cattiva manutenzione e metà vivi per eccesso di ottimismo. Abbandonando tutte le posizioni mai la meta fu così vicina”. L’ha detto per tutti uno dei ragazzi di Radio Alice: “La Rivoluzione è Finita, abbiamo Vinto!” Ancora oggi uno spettro si aggira per Bologna? Mah!!!!… parliamone…