DOMENICA 10 MARZO’013 alle 13
Il collettivo Bellazi@ organizza domenica 10 marzo il pranzo sociale “Fuggiva l’anno ’77”. Costo: 12 euro bevande escluse, i pargoli non pagano. Prenota entro le 15 di venerdì 8: mail dantephil@yahoo.it o Antonello cell. 3480345782. Alle ore 16 concerto degli Amici della Marisa.
LUNEDI’ 11 MARZO’013 alle 1o
In via Mascarella, davanti alla lapide, per ricordare Francesco Lorusso, ucciso dai Carabinieri 36 anni fa.
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– LUNEDÌ 11 MARZO’013 alle 10
In via Mascarella, davanti alla lapide, per ricordare FRANCESCO LORUSSO, ucciso dai Carabinieri 36 anni fa.
– DOMENICA 10 MARZO’013 alle 13
A Vag61 (via Paolo Fabbri 110)
Il “collettivo bellazi@” organizza il pranzo sociale “Fuggiva l’anno ‘77”. Prenotazioni: Antonello cell. 3480345782 o mail dantephil@yahoo.it
Alle ore 16 concerto degli AMICI DELLA MARISA
La nascita degli AdM va fatta risalire al lontano… giugno 2010. La band si propone come “Orchestra Spettacolo” con l’ambizione di riportare all’attenzione del pubblico il soul–beat italiano degli anni sessanta e settanta, senza perdere di vista la scena anglosassone che in quegli anni era il riferimento assoluto nel genere. Gli slanci vocali e coreografici delle magnifiche coriste, Agnese, Carmen ed Erica, lo stile inconfondibile del cantante Mimmo sono sostenuti da un combo di musicisti che vede Filippo e Saverio alle chitarre, Filo al basso, Sandro alle tastiere e Max alla batteria.
BOLOGNA MARZO 1977
di Roberto Roversi
La creta, la selenite e l’arenaria.
Di qui nasce il colore di Bologna.
Nei tramonti brucia torri e aria.
A che punto é la città?
La città è li in piedi che ascolta.
Io non dico il privato è politico.
Dico anche il privato e politico.
A che punto è la città?
La città si nasconde Ie mani.
I democristiani non governano l’Italia
ma la gestiscono.
In trent’anni I’hanno succhiata leccata masticata
peggio dei Visigoti
e di Attila che correva a cavallo.
Al confronto Attila e una farfalla dai novanta colori
Questi hanno facce di pesci-tonno, pesci-guerra, pesci-fuoco.
A che punto é la città?
La città legge la sua pergamena.
Un giorno gli schiavi sono vestiti di bianco.
Quel giorno I’impero di Roma e condannato .
Quando gli uomini si contano
un momento di storia é cominciato.
A che punto e Ia città?
La città tace perché non e più primavera.
La verità è il massacro.
Il massacro é la realtà.
Mille creature tagliano l‘acqua con il coltello affilato
per guardare il sangue del mare.
A che punto è la città?
La città in un angolo singhiozza,
Improvvisamente da via Saragozza
Ie ·autoblindo entrano a Bologna.
C’e un ragazzo suI marmo, giustiziato.
A che punto é la città?
La città si ferisce
camminando
sopra i cristalli di cento vetrine.
A che punto è Ia città?
La città piange e fa pena.
Poi elicotteri in aria
perché le vetrine son rotte
Le vecchiette allibite
perché Ie vetrine son rotte
Commendatori adirati
perché Ie vetrine son rotte
I tramvieri incazzati
perché Ie vetrine son rotte
Tutte Ie strade deserte
perché Ie vetrine son rotte
Carabinieri schierati.
perché Ie vetrine son rotte
Sessantamila studenti
perché Ie vetrine son rotte
Massacrati di botte
perché Ie vetrine son rotte.
A che punto é la città?
La città si scuote come un cane.
Il ragazzo ucciso è seppellito
con il rito formale.
Segue Ia pace ufficiale
can i poliziotti ai cantoni
In galera centottanta capelloni.
Grida Ia gente : Iazzaroni,
studiate
Invece di fare barricate
per mandare in malora una città.
Non si trascina alla gogna
la città di Bologna.
Chi è studente va con la ragazza
non in piazza a farsi ammazzare.
A che punto é la città?
La città ansima e ascolta
il suono di un chiodo che ferisce
strisciando suI vetro di marzo
e così dice:
Era un ragazzo venuto dal niente.
ucciso per strada.
colpito alla fronte.
era un ragazzo venuto da niente.
gridava la gente.
scappava suI ponte.
era un ragazzo, Ie ore del cuore
Ie passava sui libri
a mangiare il furore.
una mano di sangue strisciando suI muro
picchio con la rabbia
un colpo sicuro.
la gente piangeva. era freddo cemento
l’asfalto disteso
e lui moriva nel vento.
bandiera stracciata. un mese è passato.
La terra è fiorita
suI suo corpo straziato.
A che punto è la città?
La città apre Ie porte e cammina per strada.
Cosa dice la città?
Dice che nell’inverno del ’76-’77 non ci fu neve .
Dice che in marzo è ancora inverno.
Dice che adesso è aprile.
Dice che ogni giorno aspettiamo qualcosa.
Dice: Eco? Umberto? questo intellettuale
da calendario, sarà il nuovo rettore?
A che punto e la città?
La città riacquista i suoi colori.
Ma noi per eterni languori aIl’ italiana vediamo
ripetersi la scena che accompagnò all’inizio degli
anni Sessanta la gimkana del centrosinistra, quando
un partito fu dato in pasto al leoni che lo spolparono.
II gestore del pranzo di gala, furbetto
e sciapo quasi a chiedere scusa, fu l’on. Moro.
Oggi col suo occhio sbiascicato
eccolo riapparire
con il mandato e la giustificazione
di masticare la nuova polpetta
in un solo boccone.
Ma senza fretta senza fretta senza fretta .
Cosa grida la città?
La città dice che l’eta dei guerrieri e finita .
Dice che ieri e cominciato il tempo .
degli uomini-rana, degli uomini-gabbia,
degli uomini-Iamento.
Ma che non si può finire
col non dire più niente.
Se si tace, il silenzio é la morte.
E nella notte resta solo voce di vento.
Dice che
la violenza è stupida e imperfetta.
La violenza è un luogo comune .
La violenza è vecchia e senza fantasia.
La violenza è inutile e malada.
Dice che
la libertà è difficile
e non è Iì che .aspetta.
La libertà fa soffrire.
La libertà spesso fa morire .
La libertà ha tre segni semplici e terribili:
vuole la mano
vuole il cuore
vuole la pazienza.
Conoscere non vuol dire distruggere
e poi amare la cosa distrutta.
Amare ciò che si è distrutto
non vuol dire lottare perché
una nuova verità sia avviata.
Un ultimo dubbio e la più
urgente delle necessita ed
é conoscenza vera.
Chi e suI carro o su un carro
deve buttarsi a terra e correre correre lontano
quando il traguardo e a portata di mano
e il carro è vincitore.
Non offrirti così non sarai comperato.
Questo non è un tempo orribile.
E’ un tempo nuovo.
Non e un tempo impossibile.
E’ un tempo in cui ogni sera
si aspetta una notizia
da Maratona.
(Pubblicata sulla Rivista “Il cerchio di gesso” nel 1977)
L’ODORE DEL ’77
(…) Per molti fu l’anno di vite svoltate, di porte sbattute. In mezzo agli urti delle manifestazioni, vietate e fatte lo stesso, pisciavo contro il muro col pensiero di avere le spalle scoperte. Cambiavo spesso alloggio per non farmi prendere le misure.
Alla Fiat gli operai bloccavano la fabbrica senza preavviso, mettendosi d’accordo al volo mentre entravano al primo turno delle sei. Gli studenti si riversavano fuori dalle aule, fino all’ultimo giorno di scuola. L’Italia era percorsa da una corrente elettrico-politica. A proposito di quella erogata attraverso un contatore: nei quartieri popolari si praticava l’autoriduzione delle bollette pagando la fornitura di corrente: 8 lire a kilowattora, costo pagato dall’industria. Se la Fiat paga 8 lire, perché una famiglia ne deve spendere 35? Era una delle tante lotte organizzate dalla sinistra rivoluzionaria, che si occupava poi di impedire gli stacchi di energia all’arrivo delle squadre d’intervento.
Si possono guardare fotografie del ’77 e ricavarne qualche impressione, ma le immagini non ce la fanno a restituire l’odore d’Italia di quattrocento e rotti mesi fa.
C’erano altri ingredienti nell’aria, l’ossigeno era più politico e, soffiato forte nei polmoni di un corteo, si trascinava dietro anche l’ azoto, che è sempre stato maggioranza inerte.
Quell’aria faceva scricchiolare tutte le poltrone. Perché sono gli odori a suscitare un’epoca, non i filmati, le musiche, le pagine. Odori affumicati: al cinema si fumava e in piazza saliva il gas irritante dei lacrimogeni e si versava nafta con l’imbuto in bottiglie di birra, che avevano il vetro più sottile e si respirava inchiostro di ciclostile. Mancavano del tutto i deodoranti, i leghisti, gli aperitivi, si moriva lo stesso di amore ma non di Aids, non c’erano spedizioni di truppe all’estero, né barconi affondati nei canali di Otranto e di Sicilia. L’Italia era meticcia lo stesso, ma per via dei suoi magnifici dialetti (…)
Erri de Luca – tratto da “L’odore del ’77”