DOMENICA 18 GENNAIO’015 dalle 12,30
> > > Articolo con foto e video su Zic.it: Opg, dove la pena di morte esiste
– Ore 12,30 Pranzo di autofinanziamento legale
– Ore 15,30 “Pitbull”, rappresentazione a cura del laboratorio di teatro dell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia (testo e regia di Monica Franzoni e Riccardo Paterlini). ” L’Opg è abitato da un popolo di combattenti, che hanno ingaggiato una lotta dura con la vita, che hanno inferto e subito grande sofferenza, ma che alla fine in tutti i casi hanno avuto la peggio. È così che la domanda di partenza alla fine dello spettacolo risulta ribaltata: è possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civil un ricoverato dell’Opg?”.
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Pitbull
Testo e regia: Monica Franzoni e Riccardo Paterlini
È possibile rieducare un Pit Bull? È possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile un cane che ha vissuto innumerevoli combattimenti, che ha subito ed inferto inenarrabili violenze? Questo spettacolo nasce da questa controversa questione, lungamente dibattuta da etologi ed animalisti. Il Pit, il cane da combattimento per eccellenza, per essere preparato al ring,
subisce un addestramento infame: “catena e bastone, bastone e catena…” ai quali si aggiunge un massiccio uso di droghe e di stimolanti. Il Pit, perché distrugga il suo avversario, è sottoposto ad un processo di sistematica decostruzione dei limiti e degli argini naturali che ogni animale, compreso l’uomo, ha inscritti nel dna. La violenza diviene così una forza che si autoalimenta, che nutre sé stessa, seguendo una logica distruttiva ed autodistruttiva. Il Pit diviene una molla, “un fascio di muscoli e nervi pronto a scattare contr’a chicchessia”.
In scena a porre il pubblico di fronte al problema della rieducazione del Pit uno scopino della M.O.F.: un lavorante dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario appassionato di cani. L’eco delle sue parole riecheggia tra i muri di cemento armato e si riverbera immediatamente sulla condizione del ricoverato dell’O.p.g., dell’internato del “manicomio criminale” ingabbiato in un canile dove gli si chiede di ritrovare l’equilibrio e di ricostruire quei limiti e quegli argini che egli ha irrimediabilmente perduto. L’O.p.g. è abitato da un popolo di combattenti, che hanno ingaggiato una lotta dura con la vita, che hanno inferto e subito grande sofferenza, ma che alla fine in tutti i casi hanno avuto la peggio.
È così che la domanda di partenza alla fine dello spettacolo risulta
ribaltata: è possibile reinserire all’interno della cosiddetta società civile un ricoverato dell’O.p.g.?
La risposta è sì.
Rimane però inevaso un ultimo interrogativo che viene consegnato al pubblico irrisolto: siamo sicuri che il “canile giudiziario” sia il luogo adatto per favorire questo processo?