Lo sciopero dei braccianti nella ‘fabbrica verde’ di Nardò

VENERDI’ 23 SETTEMBRE’011 alle 20

Nella Masseria Brancuri e nelle campagne di Nardò, nel mese di agosto, è nata una straordinaria esperienza di lotta e di autorganizzazione che ha prodotto risultati concreti nella battaglia contro il lavoro nero. Questa esperienza va fatta conoscere perché può aprire nuovi spazi di conflitto sociali in altri luoghi dello sfruttamento e del lavoro precario. A Vag61 ne parliamo con Yvan Sagnet (il ragazzo camerunese portavoce della protesta dei lavoratori migranti) e Gianluca Nigro (associazione “Finis Terrae”, attiva insieme alle “Brigate di Solidarietà” alla Masseria Brancuri e nella campagna “Ingaggiami, contro il lavoro nero”). L’incontro sarà preceduto, alle 20, da una cena di solidarietà.

“Questa mattina alle sei i ragazzi sono tornati alla masseria dai campi, dove erano andati all`alba. Si sono rifiutati in massa di lavorare perché dovevano raccogliere pomodori a un prezzo molto basso. Poi hanno bloccato la strada…”

Il 31 luglio nei campi di Nardò, a sessanta anni dalle occupazioni delle terre del latifondo dell’Arno, è successo qualcosa di straordinario e sorprendente. Una quarantina di braccianti migranti che stavano raccogliendo pomodori per 4 euro a cassone (un’ora circa di lavoro), di fronte alle pretese del caporale di svolgere un’ulteriore mansione, vogliono un adeguato aumento della retribuzione. Il caporale dice di no. E’ già successo altre volte, ma questa volta loro non ci stanno, incrociano le braccia e interrompono la raccolta, sono stanche dell’ennesimo sopruso.

Sono anni che in questi luoghi si assiste allo sfruttamento di centinaia di stagionali migranti. Le condizioni di indigenza e la drammatica precarietà in cui vivono li spingono a sperare, ogni mattina, di essere reclutati dai caporali per paghe da miseria. Ma stavolta i braccianti hanno fatto fronte comune e hanno deciso autonomamente di scioperare.

Hanno denunciano lo sfruttamento del lavoro nero e il sistema dei finti ingaggi che consente ai caporali di far lavorare più migranti irregolari sotto un unico ingaggio falso. Hanno preteso il rispetto dei compensi definiti dal contratto provinciale, stabilendo un minimo sindacale di 6 o 10 euro a cassone a seconda della varietà di pomodoro. Hanno chiesto che siano effettuati in modo sistematico i controlli nei campi e un impegno reale per l’avvio di meccanismi di incontro tra domanda e offerta in grado di eliminare l’intermediazione del caporalato tra padroni e operai. Hanno rivendicato diritti, consapevoli del ricatto a cui erano sottoposti.

Tutto questo è avvenuto, in parallelo alla campagna “Ingaggiami contro il lavoro nero”, portata avanti dalle “Brigate di Solidarietà” e da “Finis Terrae”. Una mobilitazione, partita lo scorso anno e che si è rafforzata con lo sciopero dei migranti Nardò. Si tratta di una campagna che prevede pratiche, oltre che di assistenza e accesso ai servizi, di sensibilizzazione e informazione dei lavoratori rispetto al fenomeno del lavoro sommerso e alle normative contrattuali vigenti in agricoltura, per fornire gli strumenti necessari per una presa di coscienza collettiva dei migranti rispetto alla loro condizione lavorativa di sfruttamento. Dopo la lotta di Nardò si può dire che dalla consapevolezza dei diritti esigibili possono nascere principi di autorganizzazione per permettere ai lavoratori di ribellarsi alle condizioni di schiavitù su cui si fonda gran parte del sistema produttivo agricolo italiano.

Yvan Sagnet, portavoce della protesta, ha dichiarato nei giorni scorsi: «Il nostro sciopero continuerà e si sposterà in tutta la Puglia, e da qui al resto d’Italia. Quella di quest’anno deve essere una stagione di svolta. Uno sciopero sul lungo periodo è difficile, ma non abbiamo scelta. Le istituzioni continuano a non assumersi le loro responsabilità, le aziende continuano a impiegare i caporali, e i caporali continuano a sfruttare i lavoratori, quindi non possiamo mollare».

E tutti noi, con loro, non dobbiamo mollare.

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