“La colonna senza fine” all’EtnoFilmFest di Rovigo

Il film-documentario prodotto da Vag61 ed Ethnos film narra la vicenda della comunità rom rumena di Bologna dal 2002 al 2008, attraverso le immagini raccolte da videomakers indipendenti, fotografi e attivisti bolognesi, tra il susseguirsi di sgomberi e il tentativo di far sentire la propria voce.


Sabato 29 maggio, nell’ambito dell’EtnofilmFest di Rovigo,
nella sezione film in concorso, alle ore 15, nella Sala della Gran
Guardia (Piazza Vittorio Emanuele II), verrà proiettato il documentario
“La colonna senza fine”.

‘EtnofilmFest’, è un festival del cinema documentario etnografico,
promosso dal Centro studi sull’Etnodramma, in collaborazione con
l’associazione culturale Minelliana. Secondo gli organizzatori, la
rassegna intende proporre “nuove categorie e diversi approcci al
linguaggio della documentaristica”.

Ecco la scheda del film

“La colonna senza fine”
L’odissea dei rom rumeni di Craiova a Bologna, dal 2002 al 2008
una produzione:
Ethnos – Vag61 – OcchioVago – Creativi di Craiova
Anno di produzione: 2008
Durata: 80′
Regia: Elisa Mereghetti
Sceneggiatura: Valerio Monteventi
Con la collaborazione di molti fotografi, videomakers e attivisti
bolognesi

Il titolo
La “colonna senza fine” è l´opera più famosa del grande scultore rumeno,
Constantin Brancusi, che agli inizi del secolo scorso lasciò Hobita, il
piccolo paese alle falde dei Carpazi, dove era nato, per recarsi a
Parigi.
Il suo fu un viaggio molto complicato, in gran parte Brancusi lo fece a
piedi, partendo da una povera abitazione contadina, e attraversando le
famigerate Porte di Ferro, un enorme canyon che divide la Romania dalla
Serbia e che un tempo segnava il confine dell’Impero Ottomano.
Costantin Brancusi, considerato dalla critica, uno dei maggiori scultori
del secolo scorso, rappresenta la figura che meglio incarna il lungo
cammino verso l’Europa della Romania.
La “colonna infinita” è un´opera che non ha un centro, un inizio e una
fine, e riprende le antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le
case tradizionali rumene. Nella casupola dove Brancusi nacque, la tavola
è ancora disposta vicino al lato del fiume, secondo il folklore rumeno,
“lungo l’acqua fluente, che non fa mai ritorno”, a simboleggiare il
tempo dato alla vita umana che scorre, seguendo il corso del fiume,
nella direzione dell´ovest, passando poi dalla terra al cielo, con
un´idea che si moltiplica all´infinito.
“Vado a scoprire mondi dall´altra parte del mondo”, affermava l´artista
rumeno. A un secolo di distanza, migliaia di suoi connazionali sono
partiti dal loro paese natale e, attraverso tantissime peripezie, hanno
raggiunto un´altra terra, per trovare fortuna o lavoro.

Il documentario
«La colonna senza fine» è un progetto di comunicazone interculturale che
si concretizza in un documentario sulla storia della comunità rom di
Bologna a partire dal 2002. Obiettivo primario del progetto è informare
l’opinione pubblica (cittadina, ma non solo) su questa vicenda
emblematica, attraverso la testimonianza diretta dei protagonisti che
hanno vissuto questi anni tra sgomberi ripetuti, iniziative di
solidarietà, percorsi di inclusione, confronti politici, tentativi di
accoglienza e quotidiane esperienze di emarginazione.
Il documentario, della durata di 75 minuti, è stato realizzato a partire
dal consolidamento della rete di relazioni già esistente tra l’Officina
dei media indipendenti VAG61, i vari gruppi e le associazioni che hanno
seguito la vicenda dei rom dal 2002 ad oggi, e i membri della comunità
rumena.
Il film è frutto di un lavoro collettivo da parte di vidomakers,
fotografi, attivisti di movimento, costruito attraverso la raccolta di
materiale di repertorio (video, foto, registrazioni audio) sulle fasi
salienti di una vicenda durata più di cinque anni: dai primi sgomberi
sul Lungo Reno, all’ospitalità di una sessantina di rom all’interno del
centro sociale XM 24, all’occupazione di Via Casarini, alla nascita e
alla crescita dell’esperienza dello Scalo Internazionale Migranti, allo
sgombero e trasferimento a Villa Salus, fino agli ultimi sviluppi, che
vedono l’odissea dei rom rumeni ancora in corso. Contemporaneamente sono
state narrate alcune storie, attraverso i racconti di membri della
comunità e di attivisti di movimento.

La vicenda dei rom rumeni di Bologna
La storia della comunità rom rumena di Bologna può essere raccontata
quasi come un poema epico, come una vera e propria odissea. La maggior
parte di loro proviene dalla città di Craiova, dove rappresentano l’8
per cento della popolazione, e dove vivono in mezzo a forti sentimenti
di ostilità, spesso vittime della violenza razzista da parte della gente
e di azioni repressive ad opera delle istituzioni. Le precarie
condizioni di vita delle famiglie, l’esclusione sociale e il desiderio
di trovare nuove opportunità altrove sono state tra le principali
ragioni per cui la comunità rom di Craiova ha intrapreso, agli inizi
degli anni Novanta, subito dopo la caduta di Ceausescu, un progressivo
esodo in diverse direzioni: Germania, U.S.A. ed infine anche l’Italia.
Centinaia di loro, in maggioranza rom «caramidai» (in rumeno
«costruttori di mattoni»), hanno percorso negli ultimi 6 anni le strade
di Bologna,. Fino al 2002 la città non si è accorta di loro. Dopo 10/12
ore di lavoro (naturalmente al nero) nei cantieri edili, gli uomini
tornavano a nascondersi con le loro famiglie sulle rive del fiume, nelle
baracche sul Lungo Reno.

La storia comincia all´alba del 19 settembre 2002, quando le forze
dell´ordine intervengono lungo l´alveo del fiume Reno, nel quartiere
Borgo Panigale, per sgomberare e distruggere all´istante le baracche,
costruite nelle vicinanze del fiume.
Le baracche sono abitate da una piccola comunità di circa 70 persone,
tutte di nazionalità rumena. Ed essendo prive di permesso di soggiorno,
vengono immediatamente portate in Questura, per essere poi deportate
coattivamente in Romania.
I rumeni vengono trattenuti per più di 24 ore, senza poter comunicare
con nessuno nel corso di una procedura di regolarizzazione (molti di
loro sono lavoratori nell’edilizia ed aspettavano le dichiarazioni dei
datori di lavoro per la regolarizzazione). Siamo alla totale assenza del
rispetto dei diritti umani, con il consapevole restingimento del
diritto di difesa.
Lo sgombero è ordinato dalla Giunta Guazzaloca, su richiesta del
Presidente di Quartiere Ropa (DS).
Alla fine dell´operazione, 33 sono gli espulsi (con accompagnamento
all´aeroporto per essere rispediti in Romania), 10 ricevono il foglio di
via, 22 vengono messi per strada perché, secondo la Prefettura, sono
nelle condizioni di rimanere in Italia fino al 10 novembre 2002.
Una trentina di rom che altrimenti avrebbero vagato per le strade della
città vengono ospitati al centro sociale XM 24.

Il 16 ottobre 2002 viene occupato l´ex Ferrhotel di Via Casarini 23 a
Bologna, dando vitaall´esperienza dello Scalo Internazionale Migranti.
In quella struttura, il 14 novembre 2002, si trasferisce la comunità rom
che aveva trovato ospitalità in via Fioravanti, a cui si aggiungano
altri sfollati, provenienti da succesivi sgomberi, il più grosso dei
quali è quello avvenuto con le ruspe nei pressi delle Caserme Rosse, a
Corticella. Il Comune di Bologna, per molto tempo, lascia gli abitanti
di via Casarini, senza luce, acqua e gas. Gli unici aiuti e sostegni
vengono portati da un gruppo di attivisti e attiviste di alcune reti di
movimento e da alcune associazioni di volontariato.
La loro storia balza improvvisamente sulle prime pagine dei giornali
locali. In questo stabile fatiscente di proprietà delle Ferrovie dello
Stato per due anni la comunità (composta inizialmente da un centinaio di
persone e poi via via sempre più numerosa) vive un’esperienza
collettiva di autogestione assolutamente particolare, sostenuta nel
percorso da un gruppo di giovani attivisti e volontari, interessati a
condividere con loro la difficilissima strada dell’inclusione sociale.
In questo percorso si creano altri legami, alcuni bambini iniziano ad
andare a scuola, in molti avviano le pratiche per ottenere il permesso
di soggiorno, alcuni si avvicinano alla lotta politica e sociale. Le
istanze della comunità rom si fanno più evidenti anche ai bolognesi,
nonostante il Ferrhotel venga percepito da molti come uno «scandalo», un
mostro da abbattere.

Nel 2005 la nuova amministrazione comunale guidata dal sindaco
Cofferati, sollecitata dai comitati del quartiere Porto e dalle
condizioni di estrema precarietà dello stabile, predispone la chiusura
del Ferrhotel e il trasferimento «blindato» dei rom a Villa Salus, nel
quartiere Savena. Quelli che non rientrano nei criteri previsti si
disperdono sul territorio. Alcune famiglie, più fortunate, riescono ad
ottenere l’assegnazione di appartamenti in affitto in comuni della
Provincia. Nei mesi successivi alcune di queste famiglie riescono a
«mimetizzarsi», a vivere una vita quasi «normale», altre vengono invece
respinte dalle comunità locali e si ritrovano nuovamente nei campi di
fortuna, là da dove erano partiti.
In contemporanea alla gestione del trasferimento da Via Casarini a Villa
Salus, il sindaco Cofferati lancia la campagna sulla “legalità”,
all´interno della quale avrà un ruolo fondamentale la scelta degli
sgomberi e l´utilizzo, anche a livello simbolico, delle ruspe, come
unica risposta alla presenza di comunità rumena sul territorio di
Bologna.
Da quel momento, si susseguono a un ritmo drammatico, le date del
calendario di una vera e propria “guerra permanente” contro i rom che
sta alla base dell´aberrante politica della “accoglienza
disincentivante”. Una vera e propria contraddizione in termini che ha
caratterizzato le politiche sociali del Comune, una sorta di “messaggio
educativo” che l´Amministrazione ha proposto a più riprese: se qualcuno
vi ha raccontato che a Bologna avreste trovato la cuccagna vi siete
sbagliati.
Per una serie di circostanze, per una particolare congiuntura sociale e
politica, forse anche per la storia di Bologna, da sempre alle prese con
le problematiche dell’accoglienza, questa è la prima volta in cui una
comunità tradizionalmente nomade, costretta a vivere ai margini, entra a
far parte della storia cittadina in un susseguirsi di eventi drammatici
e quotidiani, con picchi di emotività e di scontro, e mesi e mesi di
semplice lotta per la sopravvivenza.
Nel film tutto ciò è raccontato con l’aiuto innanzitutto di alcuni dei
protagonisti, come Constantin, Aghiran, Alex, e di alcune persone che in
questi anni ne hanno seguito da vicino le vicende.

Cronologia
– 19 Settembre 2002: sgombero delle baracche lungo il fiume Reno.
– Settembre – ottobre 2002: la comunità dei rom rumeni è ospitata
nell’ex-Mercato di Via Fioravanti.
– 16 ottobre 2002: occupazione del Ferrhotel di via Casarini ad opera
del movimento bolognese
– Ottobre 2002 – Marzo 2005: l’esperienza dello Scalo Internazionale
Migranti cresce e si sviluppa, tra l’ostilità del quartiere e delle
Ferrovie dello Stato e la solidarietà di molti gruppi di giovani
– Marzo 2005: chiusura di via Casarini – trasferimento dei rumeni a
Villa Salus.
– 21 marzo 2005: c´è il primo sgombero sul Lungoreno: vengono abbattute
10 baracche e le persone che lì vivono (uomini, donne e bambini)
finiscono per strada senza nessun aiuto. Il sindaco Sergio Cofferati
dichiara: “Lo sgombero e la distruzione dei ricoveri sono stati ordinati
da me. Non erano presenti unità dei Servizi sociali perché si trattava
di insediamenti in cui erano presenti solo maschi adulti privi di
permesso di soggiorno e dunque non assoggettati a interventi di tipo
sociale”.
– 19 ottobre 2005: Alle 6.30, agenti della Polizia di Stato, Carabinieri
e Vigili Urbani, accompagnati dalle ruspe, intervengono tra Via
Triumvirato e Via Agucchi, per abbattere le baracche dei migranti rumeni
e fermare quelli che non riescono a fuggire. L’unica prospettiva per
quelle persone è il CPT di Via Mattei, oppure l’espulsione diretta. Si
tratta di una mera operazione di polizia. Non sono presenti né
operatori, nè assistenti sociali.
– 17 novembre 2005: Sgombero sul Lungoreno, questa volta le baracche
vengono abbattute solo dopo che le persone sono state trasferite in
un’area attrezzata in via Santa Caterina di Quarto, nel quartiere san
Donato. Qui ci sono container messi a disposizione dalla Protezione
Civile. Ma anche un intervento “diverso” dagli altri viene macchiato con
il fermo di 13 migranti rumeni che vengono trasferiti al CPT.
– 20 giugno 2006: Abbattute dalle ruspe dieci baracche nel campo abusivo
di via Gobetti, nel quartiere Navile. E’ stata l’Università a chiedere
lo sgombero, per far partire un cantiere per la costruzione di nuove
facoltà. Molte persone che abitavano nel campo sono riuscite a scappare,
prima dell’intervento delle forze dell’ordine.
– 3 luglio 2006: 180 rom, tra cui 60 bambini, scacciati da qualche
giorno dal campo di via Gobetti, occupano il Centro Galilei di
Casteldebole, un’ex scuola professionale, di proprietà del Comune di
Bologna, vuota e inutilizzata dal 1998.
– 4 agosto 2006: Viene sgomberato l’ex centro di formazione
professionale di Casteldebole. Il Galilei ritornerà ad essere il
“monumento allo spreco e al degrado” degli anni precedenti.
– 14 ottobre 2006: Ruspe sul Lungoreno, nella zona di via Piò, vengono
abbattute baracche e canneti, spianata la riva del fiume, una ventina di
“fantasmi” rumeni viene messa in fuga. Tre settimane prima, in
quell’area, un bambino rom di due mesi era morto, soffocato da un
rigurgito in braccio alla mamma. Era andata a trovare il marito che
viveva in una capanna.
– 23 ottobre 2006: Viene demolito dale ruspe un villaggio clandestino
nell’area abbandonata delle Cave Reno, nelle vicinanze del fiume, nel
quartiere Borgo Panigale. Pochi giorni dopo, ci sono nuovi insediamenti
sotto un ponte. Diverse persone dormono dentro a dei tubi di cemento
accatastati nelle vicinanze di un cantiere della Società Autostrade.
– 15 novembre 2006: Le “ruspe democratiche” del sindaco Cofferati
entrano ancora in azione in via Bignardi, nelle vicinanze di via
Gobetti, a ridosso del canale Navile. 123, i cittadini rumeni trovati
dlle forze dell’ordine, tra cui 60 bambini e 14 donne incinta. 40 rom
sono stati subito rimpatriati con un volo per la Romania in serata. 14
finiscono al CPT, 13 in carcere per non aver ottemperato a precedenti
provvedimenti di espulsione; altre 50 persone (tra cui molte donne e
bambini) vagano per strada alla ricerca di un rifugio.
– 18 novembre 2006: Nella notte prende fuoco il campo nomadi di via
Scandellara, sorto abusivamente in un’area privata. Cento rumeni sono
costretti a scappare nel cuore della notte, l’accampamento è raso al
suolo dalle fiamme. Per fortuna nessun ferito. Trenta baracche bruciate.
Si dice che I rom pagassero un affitto.
– 18 novembre 2006: Dopo aver passato la notte in un casale occupato in
via Malvezza, a poche decine di metri da Villa Salus, la giornata in
Piazza Maggiore e il pomeriggio nella sede del quartiere san Vitale, 41
rumeni sgomberati da via Bignardi-via Gobetti, dopo una lunga
trattativa, vengono sistemati in un capannone della Protezione Civile di
via dell’Industria. Ci rimarranno per alcune settimane, prima di essere
trasferiti in una scuola non utilizzata di Paderno.
– 14 dicembre 2006: Sgombero al casale di via Malvezza. Carabinieri e
polizia intervengono nella casa colonica, abitata da più di cinquanta
persone di etnia rom. La maggior parte di loro sono donne e bambini.
Vengono tutti caricati su due pulman e trenta di loro sono portati
all’areoporto, dove è già pronto un areo per “rispedirli” in Romania.
Sei vengono arrestati per inottemperanza a un precedente decreto di
espulsione, agli altri viene dato il foglio di via dopo essere stati
trattenuti per l’intera giornata in questura o in una caserma dei
carabinieri.
– 12 luglio 2007 : Alle 8.30 di mattina la polizia interviene in un
casolare in via Malvezza: 100 persone vengono messe in strada. Una
trentina di loro sono bambini. La Questura precisa che l’attenzione al
fenomeno delle occupazioni abusive rientra nel complesso di interventi
previsti dal “Patto per la Sicurezza a Bologna”, sottoscritto lo scorso
19 giugno da Comune, Prefettura e ministero degli Interni.
– Sgomberati da Via Malvezza, i rom rumeni si accampano nel parco
Salvador Allende di Casalecchio di Reno, dove sono in corso I “Mondiali
Antirazzisti” Parte una caccia che si estende a tutta la città. I rom
sono braccati da polizia, carabinieri e vigili urbani. Appena si vede
l’ombra di un nuovo accampamento arriva immediate l’intervento di
allontanamento delle forze dell’ordine.
Dopo avergli tolto l’unico tetto, materasso e pentola da cucina che
avevano, adesso li buttano fuori dai parchi costringendoli a stare per
strada.
– 16 luglio 2007: Gli 80 sfollati rumeni di via Malvezza che, nel
frattempo, hanno trovato rifugio nel parco di viale Marx, vengono
circondati da una decina di volanti della polizia e costretti ad
andarsene. Anche questa volta uno sgombero sta provocando un’emergenza
umanitaria a cui le istituzioni non vogliono dare una risposta.
– 26 luglio 2007: Ennesimo sgombero contro i rom rumeni, una ventina di
persone allontanate dal Lungoreno. In contemporanea, le pale meccaniche
delle ruspe hanno “sbaraccato” un accampamento in via Marco Polo.
– 7 settembre 2007: Sgombero di un vecchio edificio dell’ex Aeronautica
in via Triumvirato: quattro rumeni si erano stabiliti all’interno per
trovare un tetto dove riparasi, vengono allontanati e denunciati per
invasione di terreni ed edifici.
– 29 ottobre 2007: Altro sgombero sul Lungoreno: di mattina, alle 7,
vigili urbani, polizia e carabinieri hanno allontanato una settantina di
rumeni sulle rive del fiume. Il luogo dell’intervento è vicino alle
Cave Reno, dalle parti di Borgo Panigale. Dopo le operazioni di
identificazione, le ruspe hanno cominciato ad abbattere le baracche e i
rifugi di fortuna.
– 3 novembre 2007: Immediata applicazione del decreto Amato sulla
sicurezza. In mattinata un gruppo di rom è stato sgomberato dall’ex area
militare nei pressi dei Prati di Caprara, vicino all’Ospedale Maggiore.
L’intervento è stato ordinato dalla Prefettura, poi ci sono state
retate in tutta la città. I rom coinvolti sono 22, molti dei quali erano
stati sgomberati alcuni giorni prima dal Lungoreno e da via Agucchi.
– 19 novembre 2007, dalle parti dell’aeroporto, in via Triunvirato 125,
prende fuoco una baracca, abitata da una famiglia rumena di cinque
persone, un bambino di quattro anni muore, mentre gli altri due
fratellini vengono ricoverati con gravi ustioni in ospedale. La
famiglia, originaria di Craiova, era stata, in precedenza, in via
Casarini e sul Lungo Reno.

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