LUNEDI’ 3 DICEMBRE’012 alle 20
@ BARTLEBY, via SAN PETRONIO VECCHIO 30/A
Poco meno di un anno fa i tecnici salivano al Governo con appoggio e plauso delle istituzioni europee per dare il via ad una stagione in cui la crisi finalmente sarebbe stata affrontata con i criteri “oggettivi” del mercato. Allo stesso tempo la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale imponevano tagli drastici specialmente in Spagna, Portogallo e Grecia, con buona pace e complicità delle rappresentanze governative di quei paesi a dimostrazione non solo della propria inettitudine ma anche dell’abissale distanza dagli interessi e bisogni delle popolazioni che erano chiamate a rappresentare.
Non c’era motivo di pensare che in Italia la ricetta anticrisi potesse essere diversa e\o applicata in altro modo, e infatti così è stato.
Così è tuttora.
Di fronte al rischio del collasso del sistema si è messa in moto una macchina discorsiva che a partire dai governi e per mezzo dei media, non ha fatto altro che confezionare motivazioni “oggettive” e puramente “tecniche” per tagliare e ridurre la spesa pubblica, privatizzare i residuali servizi, precarizzare ulteriormente le esistenze già acrobatiche di migliaia persone. Si spreme la vita di chi non ha alcuna responsabilità della crisi del debito, per salvare invece proprio chi n’è stato causa: banche, gruppi affaristici e lobby.
Un attacco indiscriminato e inarrestabile, giustificato per mezzo di una potente retorica che incide profondamente sulla vita di tutti e tutte: la meritocrazia.
Con la scusa di dover tagliare gli “sprechi” si diminuiscono i fondi alle strutture pubbliche, in nome di una maggiore efficienza si privatizza, in virtù di rivitalizzare le imprese si consegnano masse di lavoratori e lavoratrici alla mercè del ricatto, dei contratti ad una settimana e dei licenziamenti per telefono; Sotto la falsa necessità di riorganizzazione si concentrano le decisioni nelle mani di pochi, che decidono per le esistenze di tutti. Gerarchizzazione ed esclusione con una logica talmente raffinata che sono in molti a introiettare il discorso meritocratico e a “giustificare” questa competizione darwiniana, che ha come immediato prodotto una lotta tra poveri.
I messaggi che vengono lanciati sono molto semplici, ridicoli, eppure incisivi, e in un paese come il nostro che ha conosciuto a fondo la corruzione e l’idiozia dei potenti, questi messaggi fanno presa sul sentimento di indignazione generale: tu ce la puoi fare, dice il Verbo, tu puoi emergere, dice il Verbo, tu potrai avere un futuro differente da tutti gli altri, solo se ti rimboccherai le maniche, chinerai il capo, rimarrai in silenzio e seguirai acriticamente tutte le regole del gioco. Se ti comporterai così allora avrai successo perché te lo sarai meritato. Questa corsa alla “realizzazione”, porta ad uno spirito di competizione smisurato nei confronti di chi è nella tua stessa misera condizione. D’altronde, si sa, nella crisi non tutti possono sopravvivere, qualcuno dovrà soccombere. I nuovi fascismi che proprio nella crisi ritrovano linfa vitale poggiano esattamente su questo principio: frammentazione, isolamento, individualismo, concorrenza sfrenata.
Per stare al passo, per “realizzarti” devi impegnarti al massimo e anche oltre: l’adolescente che per accedere all’Università deve superare test senza senso, lo studente che deve collezionare esami e voti a raffica, il precario che è costretto ad accettare lavori a qualsiasi condizione, le esistenze di ciascuno che si adeguano ai ritmi imposti pur di raggiungere quel Santo Successo che ci viene prescritto come unica ragione delle nostre vite e che in ogni caso non arriverà mai. Produci, consuma ogni tua energia finché non te ne rimarrà nessuna. Svuotati e svendi i tuoi desideri, il tuo tempo, le tue passioni vive.
Per ottenere cosa? Il futuro che ci viene promesso non esiste, o si tratta di briciole per pochi “privilegiati”, è bene sottolinearlo, quel futuro è solo un’illusione, è tutta una farsa, una beffa costruita ad arte da “tecnici” del mestiere.
La meritocrazia però sembra aver vinto, sono in molti ad accettare i diversi e brutali ricatti perdendo di vista il limite oltre il quale dire “No”, nella speranza, che diviene convinzione, di “meritare” così qualche possibilità in più degli altri.
Ma chi sono questi “altri”? Chi non rientra nella nuova norma del merito, e quindi diviene il fannullone, il mammone, lo sfigato, il choosy, che diventa immediatamente il nemico, il “parassita” della società. Ostracizzato, condannato non solo dai media, dato che la retorica della meritocrazia ormai è entrata nelle parole di chi vive nelle difficoltà e che vorrebbe rifiutare i ricatti che gli vengono imposti.
Eppure fuori dalla norma del merito si trovano in realtà tantissime persone, senza ormai distinzione tra migranti e nativi, giovani e meno giovani: chi si affanna ogni giorno in lavori senza alcuna speranza di avanzamento, chi il lavoro non lo trova e chi lo perde a 40, 50, 60 anni e trova ogni porta sbarrata, i loro figli che non sanno se l’anno prossimo potranno ancora permettersi di andare a scuola, chi non sa come curarsi dai veleni della produzione, chi non può permettersi di lavorare gratis per dodici mesi di “stage formativo” perchè deve pagarsi l’affitto, o anche semplicemente chi tenta di non farsi sfruttare.
Tutte persone per cui il “merito” di cui tanto sentiamo parlare è una parola vacua. Fannullone è allora chi alla favola del futuro promesso non ha l’ingenuità per poterci credere, perché al futuro non può pensarci, la miseria del suo presente urgentemente gli impone di fermare la mente al qui e all’ora. La meritocrazia impone dei doveri e ha un disegno, individualizza e separa, pochi sono, e ancor di meno saranno, coloro ai quali sarà concesso “gareggiare” per il “successo”, cedere al ricatto e consegnare la propria esistenza ad un sistema privatizzato e selezionato. Molti, e ancor di più saranno, coloro che ad un tale sistema non potranno accedere: i “premi” restano per pochi.
E allora proviamo a ribaltare questa logica. Proviamo a dire che essere #choosy è un diritto, è motivo di orgoglio, perché significa rifiutarsi di nullificare se stessi, significa smettere di vedere un avversario in chi ti sta accanto.
Nella forza di questa esclusione e rifiuto – da organizzare e generalizzare – c’è la possibilità di una vita differente. La nostra ambizione è quella di liberare la voglia di avere una vita che non sia basata sulla competizione tra singoli, ma sulla solidarietà e la cooperazione fra molti, non sulla separazione tra chi avrà la possibilità di gareggiare verso il successo e chi alla corsa non sarà proprio ammesso.
La nostra ambizione è avere la possibilità di poter rifiutare ricatti e precarietà, ribellarsi a un’idea univoca di realizzazione, accedere liberamente ai saperi, scegliere i nostri percorsi di vita in piena autonomia e indipendenza. Essere #choosy vuol dire questo.
La nostra ambizione è la riappropriazione collettiva di tempi, spazi, saperi, è l’appropriazione di un reddito di esistenza che infranga le barriere e ci ponga tutte e tutti nella possibilità di accedere all’immaginazione di un futuro da costruire con i nostri desideri, passioni, aspirazioni, diverse, eccentriche.
Per questo rifiutiamo i modelli “realizzati”, ben educati e obbedienti che ci vengono proposti.
Per questo convochiamo una giornata di manifestazione, con la voglia di proclamare al mondo il nostro orgoglio nell’essere, felicemente e ostinatamente, choosy.
Discutiamone insieme lunedì 3 dicembre alle ore 20, a Bartleby in via San Petronio Vecchio 30\A
Santa Insolvenza