Qualchemartedì: presentazione di “Accade di vivere a stento” + proiezione di “12 dicembre”

MARTEDI’ 12 DICEMBRE’017 dalle 18

Qualchemartedì… ma alla fine pure gli altri, più o meno. A Vag61, per tenere insieme libera socialità e progetti, percorsi e immaginari da condividere e sostenere! [info]

Vi aspettiamo dalle 18 con l’aperitivo e poi la cena sociale!

Questa settimana > presentazione dell’auto-antologia poetica “Accade di vivere a stento” di Paolo Coceancig + proiezione del film “12 dicembre” (di Giovanni Bonfanti e Pier Paolo Pasolini), a cura del Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani” [info]

> Programma:

– ore 19: presentazione dell’auto-antologia poetica “Accade di vivere a stento” [info] di Paolo Coceancig. Insieme all’autore, interverranno Agostino Giordano e Sergio Rotino. Letture di Andrea Setti.

– ore 20,30: cena sociale di autofinanziamento

– ore 21: proiezione del film “12 dicembre” [info]

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Accade di vivere a stento (edizioni Do. com Press, 2017)
L’idea che viene trasmessa dalle pagine di Accade di vivere a stento è però quella di un libro che ha dovuto attendere di maturare fino ad assumere un peso e un significato che l’autore non è stato più in grado di trattenere: un libro necessario, insomma, in cui il senso dello scrivere raggiunge la propria inevitabile forma, e dove di conseguenza il detto e il non-detto, il sottinteso, l’immaginario, a volte l’ironia e l’assurdo, trovano esatta collocazione. Ecco, la prima cosa che viene in mente per evidenziare il valore del libro è proprio che, se le parole nascono dal silenzio ed il silenzio è importante come e più delle parole, Paolo Coceancig ha fatto tesoro di questo insegnamento, lo ha eletto a disciplina, e oggi lui e noi possiamo raccoglierne insieme i frutti, ritrovandoci in una serie di fotogrammi che raccontano le contraddizioni e la forza dell’andare di un “adolescente adulto” che mantiene intatta la capacità di stupirsi, innamorarsi ed indignarsi del mondo (dalla prefazione di Francesco Tomada)

Paolo Coceancig
Paolo Coceancig nasce a Gorizia nel 1964. Da più di trent’anni vive e lavora a Bologna. Segnalato alla Biennale Giovani Artisti del Mediterraneo (Bologna, 1988), comincia a leggere i suoi versi in diversi locali della città e a pubblicarli su varie riviste: “I Quaderni del Battello Ebbro”, “Opposizioni”, “Private”, “Mongolfiera” ecc. Appare nelle antologie Bologna e i suoi poeti curata da Carla Castelli e Gilberto Centi (EM Parole in libertà, 1991) e Rzzzzz! a cura di Sergio Rotino (Transeuropa, 1993). È del 1991 il suo esordio letterario, la raccolta Graffiti graffiati. In quegli stessi anni comincia a scrivere anche nella lingua delle sue origini, pubblicando testi in friulano su “Usmis” e “La Patrie dal Friul”. Dopo parecchi anni di volontario esilio dalla parola scritta, si è di recente riavvicinato alla poesia. Suoi testi compaiono nelle due pubblicazioni collettive Parole Sante (Kurumuny 2015 e 2016) e on line su “Perìgeion” e “Versante Ripido” (2017). Con la raccolta inedita Taccuini dell’inconsistenza è stato selezionato tra i finalisti della prima edizione del premio letterario Orlando (2013). Scrive di tematiche sociali e attualità politica su piattaforme multimediali indipendenti come “Globalproject” e “Leila”.

12 dicembre 1969: la strage di piazza Fontana
Il 12 dicembre 1969 a Milano ci fu un’esplosione nella Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana. All’ora era un attentato, oggi è una delle pagine della storia dello stragismo del nostro Paese di cui purtroppo ci si dimentica troppo spesso. Con le bombe di Piazza Fontana, cominciava la “strategia della tensione”. Tra il 1969 e il 1984, in Italia, sono avvenute otto stragi politiche dalle caratteristiche comuni: tutte hanno visto coinvolti personaggi appartenenti alla destra eversiva, in tutte sono emerse protezioni, connivenze, responsabilità di appartenenti agli apparati dello Stato, tutte sono rimaste per molto tempo senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli e senza mandanti. In quindici anni sono state assassinate, oltre seicento sono rimaste ferite in attentati stragisti che, ancora oggi, nella quasi totalità dei casi, sono rimasti impuniti. Si è fatto di tutto intorno alla strage di piazza Fontana, a Brescia, Bologna, Ustica, compresi i processi. Di tutto non per scoprire la verità, ma per occultarla. La verità storica e politica è rimasta per anni patrimonio dei movimenti, imbrigliata dai silenzi, omissioni, depistaggi, fino all’apposizione del segreto di stato, poi è diventata senso comune di larga parte del paese, senza che a ciò corrispondesse però azione adeguata. Anzi, ancora oggi è piegata agli interessi di chi la vuole complice nella conservazione dell’esistente. I giorni nostri sono percorsi da un forte vento di destra, spesso con egemonia culturale e sociale. Ovviamente il riformarsi di un “consenso di massa” alle nuove forme del fascismo richiederebbe un’assai lunga e complessa analisi, ma è utile ricordare una indicazione/profezia di Pier Paolo Pasolini (del settembre ’62): “Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: ma occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società”.

“12 dicembre”
[Italia, 1972 – 43′ – Regia: Giovanni Bonfanti, Pier Paolo Pasolini; sceneggiatura: Govanni Bonfanti, Goffredo Fofi ; con Gian Maria Volontè]
Nel 1972 Pier Paolo Pasolini decide di girare un documentario non tanto sull’atto terroristico in sé, quanto sui cambiamenti che quest’ultimo ha apportato al nostro paese. Il documentario verrà realizzato con l’aiuto del gruppo extraparlamentare Lotta Continua. Il documentario, autoprodotto, fu pronto per l’inizio del ’72 ed ebbe la sua visibilità passando anche al festival di Berlino. Lo stesso anno Pasolini si prese anche due denunce, per istigazione alla disobbedienza delle leggi dello Stato, istigazione a delinquere e apologia di reato, in quanto prestava generosamente la sua firma di direttore responsabile (oltre alle sovvenzioni in denaro) per il giornale Lotta continua.Il grosso del girato di 12 dicembre fu opera di Giovanni Bonfanti, che insieme a Goffredo Fofi lo aveva anche sceneggiato. Il taglio è quello del documentarismo militante che in quegli anni era diffusissimo. Si filmano i compagni, li si fanno parlare cercando di evitare le domande. Nasce un affresco della realtà operaia degli anni settanta: da Carrara, dove si muore “inavvertitamente” schiacciati dai massi di marmo bianco alla Montecatini Edison, la Pirelli e la Fiat di Torino. Le facce degli operai in assemblea mostrano preoccupazione ma anche una lucida consapevolezza: non si muore solo di fumi nocivi ma anche di alienazione dopo otto ore passate a ripetere lo stesso movimento. E ancora, nel ’70 Reggio Calabria come Belfast. Nella città in rivolta contro l’assegnazione di capoluogo di regione a Catanzaro, si intraverde il prologo di una possibile rivolta di classe. Alcuni ragazzi ammetono che negli scontri con l’esercito si sono infiltrati elementi poco chiari «mentre i padroni si godevano la battaglia dal balcone». Ma è lampante la condizione di miseria indicibile dei baraccati filmati alle porte della città e la loro frustrazione riversata per le strade contro le forze dell’ordine, l’unico avamposto di Stato che abbiano conosciuto. Pasolini si occupa solamente di due episodi. Il primo è proprio quello di apertura del documentario che non è altro che una serie di interviste a chi quel 12 dicembre del 1969 l’ha veramente vissuto (la famiglia Pinelli, l’avvocato di Lotta Continua, il tassista che ha accompagnato l’attentatore sul posto). In questo frangente Pasolini esprime tutto il suo sentire politico, dichiaratamente di parte ma incredibilmente efficace. Successivamente Pasolini si occupa delle interviste agli operai della Italsider di Bagnoli. Qui troviamo tutto il Pasolini cineasta e scrittore, l’uomo che amava mostrare i corpi nei loro spasmi più tragici, più erotici. E questo è un raffinato cinema di corpi, dove il gesticolare degli operai meridionali si trasforma nel gesto disperato di un operaio sordomuto che riesce solo ad emettere suoni senza alcun significato ma che, grazie ai suoi movimenti, regala alla pellicola l’unico vero respiro di una tragicità umana del popolo.

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