VENERDI’ 3 MAGGIO’024 alle 19,30
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Iniziativa a cura di Vag61 e SMK Factory
– dalle 19,30: aperitivo e cena di autofinanziamento
– alle 20,30: prima proiezione a Bologna di “11 GIORNI tra le mura del carcere” (33′ – 2024, regia di Nicola Zambelli), Un viaggio tra le mura del carcere più sovraffollato d’Italia. All’interno della casa circondariale “Nerio Fischione” di Brescia, un gruppo di detenuti si racconta in una web-serie documentaristica di 33 episodi, pubblicata nell’arco di 11 giorni, su una pagina Instagram (@11.giorni). Il laboratorio di scrittura nasce dalla volontà dei detenuti di raccontare le proprie testimonianze di vita all’interno del penitenziario con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione più giovane e dare vita ad una campagna di impatto sociale sui social network.
– a seguire: interventi di SMK Factory, Vag61, Mariachiara Gentile (avvocata e osservatrice di Antigone per la regione Emilia-Romagna) e Alvise Sbraccia (docente di Sociologia del carcere all’Università di Bologna)
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Cosa succede alla Dozza e nell’istituto minorile del Pratello? Cosa succede nelle carceri dell’Emilia-Romagna e del resto d’Italia? Crediamo sia più che mai necessario interrogarci sul tema e porre pubblicamente queste domande: ai movimenti, alla società, alla stampa, alla politica. Perchè sulla condizione detentiva circolano poche notizie, ma allarmanti. Per questo intendiamo promuovere una discussione che affronti in maniera ampia questo argomento e contribuisca a raccogliere informazioni, spunti, riflessioni e linee possibili di azione. Perchè il carcere non è un buco nero, anche se in molte/i così vorrebbero: è lo specchio in cui rifletterci se vogliamo davvero guardarci in faccia.
Da dove partire? La Dozza e le altre carceri italiane sono estremamente sovraffollate, certo, è una condizione strutturale che da molto tempo a questa parte non mostra segni di miglioramento. Lo sguardo critico sul nodo detenzione si sofferma spesso su questo aspetto, ma tale consapevolezza non basta e non può bastare a decifrare le criticità che caratterizzano la situazione attuale. Le condizioni di vita a cui sono costrette/i le/i detenute/i non dipendono solo dal loro numero in rapporto ai metri quadrati di un istituto. Ridurre il volume della popolazione carceraria è una priorità irrinunciabile e non può essere considerata un tabù la prospettiva di un’abolizione della reclusione, ma allo stesso tempo è indispensabile tenere alta (più alta!) l’attenzione su molti altri aspetti: le condizioni strutturali dei penitenziari; la carenza di personale sanitario, di assistenti sociali e di opportunità lavorative per le/i detenute/i; le modalità di applicazione dei diversi regimi detentivi; l’abuso nella somministrazione di psicofarmaci; gli abusi e i maltrattamenti da parte degli agenti di custodia; la presenza di bambine/i recluse/i insieme alle loro madri; la piaga, vergognosa, dei continui suicidi nelle celle. La storia anche recente della Dozza e del Pratello, insieme a quella di altre carceri della regione come Modena e Reggio Emilia, è purtroppo un compendio di questi mali ed è una verità che non può essere nascosta sotto il tappeto.
Certo, nessuna/o può aspettarsi una qualsiasi forma di sensibilità su questi temi dal Governo in carica. Che, anzi, dello slogan “più carcere e ancora più carcere” fa un’esplicita bandiera. Il Dl Caivano, l’ossessione per l’inasprimento delle pene, la volontà di moltiplicare i Cpr destinati alle/i migranti o la puntuale copertura politica fornita agli abusi delle forze di polizia sono solo alcuni esempi dello spirito conservatore e reazionario che anima l’esecutivo Meloni-Salvini-Tajani. Ma se la destra si manifesta per quel che è, centrosinistra e dintorni non fanno molto per distinguersi. L’indignazione giusta e necessaria per la vicenda di Ilaria Salis in Ungheria, a cui va tutta la nostra solidarietà antifascista, corrisponde forse ad un’analoga attenzione per ciò che accade alle/i detenute/i italiane/i? Lo scandalo del 41bis e dell’ergastolo ostativo, su cui ha gettato una luce il caso di Alfredo Cospito, è forse un dibattito in cui esercitarsi per qualche settimana per poi richiudere tutto in un cassetto?
Quello che più ci interessa, però, è affrontare il tema a livello locale. Cosa fanno il governo regionale e l’amministrazione municipale per affrontare le tante criticità che la presenza delle carceri sul territorio pone sul tavolo? Siamo certe/i del fatto che i rappresentanti di Comune e Regione non mancherebbero di elencare interventi e buoni propositi, ma c’è un ma: non è sufficiente. La città che “non lascia indietro nessuno”, come ama ripetere il sindaco Lepore, non può chiudere gli occhi sulla situazione della Dozza e del Pratello. Il primo cittadino, che per inciso è anche la massima autorità sanitaria locale, non può non interessarsi alle condizioni di vita delle/i detenute/i e delle fragilità delle/i tante persone che vivono il carcere con problemi di malattia, dipendenza e sofferenza psicologica. La politica non può lasciare la presa di parola sul carcere ai sindacati di polizia penitenziaria che, nel 2024, non trovano di meglio che sottolineare come nei confronti delle/i carcerate/i vengano presi pochi provvedimenti punitivi: è il caso della democraticissima Cgil e della Uil, non di qualche destrorsa sigla corporativa.
Non pensiamo che i problemi del carcere siano di facile soluzione. Ma è necessario affrontarli ed è urgente dare dei segnali concreti in questa direzione. Qualche anno fa, ad esempio, Vag61 di fronte all’emergenza Covid aveva lanciato un appello per consentire l’applicazione di misure alternative in favore di quelle/i detenute/i che, anche a normativa vigente, erano nelle condizioni di uscire di prigione ma non potevano farlo perchè impossibilitate/i a indicare un domicilio esterno: insieme all’appello avevamo suggerito anche due strutture pubbliche inutilizzate da destinare a questo scopo, un ex Ferrhotel in città e l’ex Ersa di Ozzano, ma non se n’è mai fatto nulla. Sarebbe stata una goccia nel mare, ma pur sempre una goccia.
Attorno a questi temi invitiamo al confronto collettivo perchè sul carcere riteniamo necessario tenere un faro acceso, aprire una riflessione, stimolare una convergenza di contributi.