Abitare e lavorare a Bologna: prime tracce verso l’inchiesta collettiva

I gruppi di lavoro di Laboratorio Bologna hanno elaborato una prima cartografia sul come poter sviluppare un’inchiesta sui terreni dell’abitare e del lavoro a Bologna e dei possibili conflitti a venire.

ABITARE

Strumenti
È stata discussa la necessità di approfondire un processo di autoformazione all’inchiesta e di studiare esempi e letteratura esistente. Si è ragionato di dotarsi di un possibile dispositivo di comunicazione narrando con testimonianze e interviste di chi partecipa al percorso i temi dell’inchiesta. Nello specifico degli strumenti, è stato proposta sia una forma di “autoinchiesta” che l’elaborazione di un questionario che tenga dentro molteplici dimensioni e assi (tra i quali come le dinamiche di potere funzionano in modi diversi su differenti soggettività). Infine, in prospettiva, potrà essere importante costruire momenti di confronto collettivo e messa in dialogo tra le persone che parteciperanno all’inchiesta.

Luoghi
Sono stati ipotizzati numerosi possibili contesti nei quali iniziare a sviluppare l’inchiesta: gli spazi sociali e gli sportelli che forniscono servizi sull’abitare, le scuole primarie e le aule studio, gli studentati e i centri di accoglienza. Si è inoltre ragionato di come poter mettere al centro dell’inchiesta i flussi di persone nella metropoli (i/le cosiddette city user che probabilmente non riescono a trovare casa a Bologna), della casa stessa come spazio di inchiesta e immaginazione (in particolare cercando “nuove forme dell’abitare” / abitare collettivo), e di come mettere al centro la più generale trasformazione urbana che sta vivendo Bologna (le piazze come elemento dell’abitare in senso più ampio, e i luoghi di “svuotamento” abitativo del centro storico).

Rivendicazioni/controparti
Si è discusso del differente impatto del problema della casa, che si interseca con molteplici linee di contraddizione, domandandosi come poter trovare dei terreni comuni di rivendicazione tenendo dentro di una pluralità di necessità sociali. Le principali controparti per un percorso di lotta sull’abitare sono state individuate nelle multinazionali che operano sul territorio (Airbnb), nei vuoti urbani e nella proprietà ecclesiastica, e più in generale nella rendita urbana (come gli studentati privati che stanno proliferando a Bologna). Sono stati menzionati terreni “classici” (le difficoltà di accesso alle case popolari e gli sfratti) e dello svuotamento del ruolo delle agenzie immobiliari (che capitalizzano sull’emergenza abitativa). Il tema dei flussi turistici è stato approfondito, rimarcando la necessità di indagarlo come spazio di conflitto sapendo che il turismo non è tutto uguale, c’è un “turista-massa” che non può essere nemico di processi di lotta (ambivalenze: il terreno di classe dell’abitare e del viaggiare / noi siamo parte del turismo di massa). Si è ragionato su come poter bloccare le infrastrutture del turismo e di come costruire una contesa sui flussi turistici e sulla ricchezza socialmente prodotta. Si è discusso di come la tassa di soggiorno turistico possa diventare un elemento di contesa sulle risorse, dirottandola dal city branding alla costruzione di case popolari e di nuovi luoghi urbani che si misurano sul cambiamento climatico.

Ambiti/scenari
Si è molto ragionato di come poter “tenere insieme” casa e lavoro, come lavorare sulle giustapposizioni fra questi ambiti per non rischiare di replicare una distinzione tra produzione e riproduzione. E si è discusso di come crisi climatica e ondate di calore trasformano l’abitare. Si è parlato delle forme di razzializzazione e di riproduzione del sistema eterocispatriarcalebianco nell’abitare, e di come poter pensare la casa fuori dall’immaginario della famiglia, e di come funzioni come dispositivo di produzione di generi e soggettività, riproduzione della società. È stata messa in evidenza la dimensione della salute (abitare come determinante della salute), la casa come luogo che può riprodurre sia cura che violenza, e come la casa si inscriva in una costellazione di accessi alle risorse/servizi e strumenti che facilitano la vita sul territorio. Infine, si è parlato del ricatto sociale dell’emergenza abitativa (non potersi permettere di cambiare sistemazione) e del blocco all’accesso abitativo aumentato in simultanea a una frammentazione delle forme giuridiche sull’abitare.

Soggetti(vità)
È stata rimarcata la necessità di percepirsi come soggetto interno all’inchiesta, come parte della composizione tecnica che subisce e vuole agire conflitto sull’abitare, nell’ottica di un’inchiesta collettiva che possa diventare conricerca. La multidimensionalità dell’abitare è parte di come si costruisce la soggettività oggi, anche attraverso dispositivi marcati che gerarchizzano l’abitare: razzializzazione e genere. Cercare casa a Bologna è una situazione di totale messa in discussione di sé che aggredisce il benessere psicofisico (determinante sociale della salute), ma la casa è un modo per emanciparsi (uscire da casa della famiglia) e uno spazio di socialità e interazioni (la certezza sulla casa rende più tranquill sul parlare all’esterno). Si è ragionato della sovrapposizione tra figura di studio/lavoro e tra precarietà abitativa e lavorativa, della modificazione della composizione di classe dell’università, e di che tipo di facoltà mobilitiamo nella fase post-fordismo e come la casa funziona per predisporci al mondo del lavoro, e in che modo la soggettivazione al mondo del lavoro retroagisce sull’abitare la casa. Si è infine discusso di lavoro domestico, lavoro di cura e conflitti interni alla casa: che casa stiamo abitando? Con che persone? Di come la distribuzione del lavoro domestico e questi temi possano aiutare a tenere legati abitare e lavoro, e di come il lavoro domestico sull’abitare (pulizie per il turismo, ad esempio) possa essere un soggetto importate per l’inchiesta.

LAVORO

Strumenti
Si è discussa, anche parlando di lavoro, la necessità di continuare collettivamente una autoformazione che ci dia ulteriori strumenti per sviluppare la nostra inchiesta, partendo anche molto dalle situazioni lavorative che ci hanno toccate personalmente nella nostra esperienza. Riflettendo sull’esigenza di tenere tra gli assi di riflessione sul lavoro anche lo spazio digitale, legato in particolare ai social come spazio di estrazione di valore, lo abbiamo individuato anche come possibile strumento di lotta, da contro-utilizzare conoscendolo in quanto spazio “nemico” ma, appunto, utilizzabile anche per le nostre esigenze. Sempre rimanendo nello spazio digitale, si è indicato il sito di Laboratorio Bologna come possibile spazio in cui continuare il confronto e il dibattito.

Luoghi
Si sono individuati innumerevoli luoghi, partire dall’autoinchiesta da un lato e dai percorsi e dagli spazi di inchiesta già avviati all’interno del tessuto metropolitano dall’altro. Le soggettività coinvolte direttamente o indirettamente dal “problema” del lavoro sono innumerevoli, e si sono individuati luoghi diversi in cui intercettarle, e organizzarci. Innanzitutto, è stato sollevato il nodo delle scuole, diventate grazie all’alternanza scuola-lavoro un enorme bacino di lavoro gratuito o estremamente sottopagato, in ogni caso sottoposto ad un forte ricatto. In secondo luogo, rimanendo all’interno del mondo della formazione, si è parlato degli spazi universitari (in senso largo) come luoghi attraversati da innumerevoli lavoratori e lavoratrici che vivono condizioni di sfruttamento, e si ritrovano, per poter continuare a frequentare l’università, a lavorare – in particolare nel mondo della ristorazione e dello spettacolo ma non solamente – in condizioni di grande precarietà. Altro spazio ritenuto cruciale è quello digitale, smaterializzato, all’interno del quale si trovano forme di cattura di valore da un lato ma dall’altro si possono trovare spazi di contatto e organizzazione. Gli altri luoghi considerati cruciali per la nostra inchiesta sono quelli che riguardano forme del lavoro legate al divenire turistico della città e all’organizzazione dei grandi eventi: si è parlato molto dell’aeroporto (attraversato da dinamiche di forte precarizzazione garantita anche dal sistema di appalti); della Fiera (dove lavoratori e lavoratrici di facchinaggio e montaggio palchi hanno luoghi di ritrovo in attesa di iniziare il lavoro); delle cooperative sociali impiegate nelle pulizie e nell’assistenza alla persona. In ultima istanza, si è sollevata la questione legata a doppio nodo con il tema dell’abitare dell’esistenza sempre in aumento di city users, soggetti che lavorano a Bologna ma senza potersi permettere di abitare la città: dunque, ulteriore elemento su cui ci siamo focalizzate è costituito dai luoghi di passaggio e viaggio che permettono lo spostamento costante dalla città al territorio circostante, come la stazione e l’autostazione.

Soggetti(vità)/Scenari
Abbiamo riflettuto ampiamente sulle diverse dimensioni interne al mondo del lavoro che vanno a intrecciare differenti spazi di marginalizzazione e sfruttamento, sulle linee di genere, razza, generazione. Per indagare la sfera del “lavoro” è imprescindibile guardare anche al modo in cui si intreccia alla dimensione della riproduzione sociale, in una dinamica di messa a valore senza remunerazione delle identità, di creazione di dimensioni di estrema “sfruttabilità” grazie a varie forme di ricatto. Tra le diverse linee, si è parlato di quanto da un punto di vista generazionale all’interno del mondo della formazione tutto ci sia una educazione alla precarietà e allo sfruttamento, in cui “flessibilità” e accettazione dello sfruttamento si intrecciano, conducendo a piani della soggettivazione possibile che indicano nella direzione della disaffezione e del rifiuto del lavoro, come si è visto con il fenomeno delle grandi dimissioni. L’altra linea sulla quale abbiamo ragionato è quella di cui vediamo protagoniste le persone con background migratori e situazioni di fragilità legate ai documenti, molto spesso rese estremamente ricattabili dal “gioco” tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, sempre in una prospettiva inevitabilmente legata alla dimensione dell’abitare e della casa, sulla quale la linea di “razza” incide ulteriormente nella possibilità di raggiungere situazioni di stabilità abitativa, pur avendo uno stipendio. In ultima istanza abbiamo guardato alla messa al lavoro del genere e alla logica dell’“inclusione” come elemento di ulteriore sfruttamento, in una messa a valore, senza remunerazione, dell’identità, in cui il diversity management diventa strumento produttivo. L’altra linea di riflessione in questo senso emersa con forza riguarda proprio il lavoro di cura, la necessità di guardare anche dentro le case, ed insieme il lavoro di cura nella sua dimensione di “esternalizzazione” rispetto alla casa stessa, altra dimensione del lavoro nella quale le capacità emotive e sociali vengono sfruttate (dalle cooperative sociali al mondo dell’educazione alla sanità pubblica). Domanda da continuare a porci è come riuscire a comporre queste differenti esigenze e posizionamenti nel reale, riconoscendo punti di convergenza possibili, nella consapevolezza dell’intersezione che caratterizza queste diverse linee.

Controparti, rivendicazioni, prospettive
Contro. A partire da queste riflessioni su scenari aperti e soggetti ingaggiati all’interno del contesto complessivo bolognese, abbiamo individuato molteplici linee di lavoro. Partendo dalla nostra odierna difficoltà nell’individuare dei “cancelli della fabbrica” in una dimensione invece di “fabbrica diffusa” nella metropoli, abbiamo però ipotizzato diversi spazi (più o meno direttamente legati al lavoro; sia fisici che digitali) dai quali partire e nei quali muoverci, consapevoli che una grossa difficoltà, oggi, è costituita da una estrema atomizzazione del mondo del lavoro. Quello che abbiamo già potuto osservare – dalla costellazione di piccoli proprietari nel mondo della ristorazione; al sistema di appalti che caratterizza contesti come quelli dei magazzini Amazon o dell’aeroporto che garantiscono la precarietà perpetua delle condizioni contrattuali; alla smaterializzazione del lavoro digitale – è come le condizioni di lavoro e contrattuali in questa città vivano di grande frammentazione, ponendoci una sfida complessa. Dall’altra parte abbiamo guardato a grandi nemici, costituiti da multinazionali (del turismo, del food, del delivery, grandi piattaforme che si innervano dentro e fuori l’urbano) che sempre più affinano le modalità dello sfruttamento e del controllo. In ultima istanza, abbiamo riconosciuto anche come l’approccio stesso al lavoro si riproduca attraverso l’educazione ed una “soggettivazione” tutta interna ai modelli della precarietà e dello sfruttamento, cui opporre invece un lavoro di soggettivazione alla pretesa, in particolare a partire da scuole e contesti giovanili. Attraverso. Abbiamo individuato due necessità stringenti. In primo luogo, quello di cui abbiamo bisogno, nel nostro “camminare domandando”, è porre non solo il tema della denuncia ma anche quello della vittoria, del possibile: abbiamo la necessità di ottenere anche piccoli risultati, che però possano essere la base sulla quale costruire nuove e ulteriori forme di soggettivazione e lotta. Dall’altra parte, abbiamo individuato l’imprescindibilità di individuare delle controparti complessive, a livello metropolitano, per rompere l’atomizzazione, andando oltre le formule del sindacalismo classico cercando invece di stare al passo con i mutamenti del capitale. Individuiamo nel nostro presente delle forme esistenti di rifiuto del lavoro e di grande disaffezione, dobbiamo inserirci in esse per sollevare rivendicazioni complessive. Per. In questa ottica, la necessità è trovare forme dell’organizzazione che ci permettano di comporre tra loro istanze diverse e spesso frammentate, di costruire una riflessione che sappia assumere il piano complesso delle soggettività in campo, delle diverse linee di oppressione che diventano anche le linee sulle quali si riproduce lo sfruttamento. Fondamentale è anche riuscire a guardare al lavoro nel suo intreccio con l’abitare in senso ampio, in una dimensione in cui soggetto emergente sono proprio i/le working poor, in particolare in una Bologna in cui il tasso di disoccupazione è quasi a zero mentre migliaia di persone si trovano in condizioni di fragilità abitativa, espulse dalla città, sotto sfratto, senza casa. La direzione in cui andare quest’anno, alla luce di queste considerazioni, può essere per noi quella della rivendicazione di un salario minimo metropolitano, come primo spazio della possibilità che vada nella direzione di ricomporre la frammentazione, di incidere sul reale.

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