Scriviamo queste riflessioni dopo l’assemblea che si è tenuta il 23 novembre proprio a Vag61 e avendo avuto l’opportunità di leggere i contributi che nel frattempo hanno fatto seguito al primo passo – speriamo sia così – di un percorso tanto complesso quanto necessario. Non abbiamo facili soluzioni in tasca, ci poniamo diversi interrogativi e siamo consapevoli della parzialità dell’apporto che possiamo mettere sul tavolo, ma ribadiamo la nostra disponibilità al confronto e condividiamo queste note come tassello di una discussione che auspichiamo ampia e feconda, franca e concreta.
La convergenza: più di un’opzione
Della necessità di individuare e coltivare un terreno di confronto tra le diverse anime dei movimenti sociali siamo convinte/i da sempre e non possiamo che ringraziare le/i compagne/i del Collettivo di fabbrica Gkn della spinta che sono state/i in grado di dare per forzare un blocco se non altro anacronistico, visti gli stravolgimenti con cui chiunque di noi deve rapportarsi e la portata delle sfide che abbiamo davanti. Una boccata d’aria fresca dopo un periodo fin troppo lungo di sfilacciamento in cui si sono sommate, ahinoi, vecchie e nuove difficoltà: le distanze tra le famiglie politiche, legittime quanto si vuole ma spesso autoriproducenti; le linee di frattura prodotte a tutti i livelli dall’esperienza Covid e dalla guerra in Ucraina, due eventi storici che hanno spazzato via molte certezze e svelato non pochi punti deboli.
Certo, nonostante tutto le singole realtà politiche hanno generosamente continuato a portare avanti i propri percorsi e se qualcuna è venuta meno o si è ridimensionata, altre sono nate o sono cresciute. Ma non possiamo ignorare che troppo spesso, in tante sacrosante mobilitazioni, i legami con la città non militante si sono rivelati deboli (pensiamo soprattutto alle generazioni più giovani) e che, allo stesso tempo, i vuoti lasciati dall’autorganizzazione sociale sono stati in parte attraversati da proposte politiche altre-da-noi.
Per tutte queste ragioni, condividiamo la necessità di costruire un campo di convergenza che sappia andare oltre – stavolta – i limiti emersi dopo la pur notevole mobilitazione culminata nella manifestazione “Convergere per insorgere” del 22 ottobre 2022: non per annullare differenze che non si possono annullare, non per inseguire un inutile ecumenismo, non per semplificare la complessità delle lotte, non per ricercare ingegneristiche forme di coordinamento destinate a scarsi risultati. Bensì per ripensarci almeno in parte, per individuare quei punti comuni di analisi e di azione (ci sono, perchè devono esserci!) che possano contribuire a togliere un po’ di croste, evitare di disperdere energie, unire gli sforzi per moltiplicarne gli effetti. Rilanciare in avanti.
Con le destre al Governo & nella città gentrificata
Molti spunti di analisi sul contesto globale, nazionale e locale sono emersi nell’appello che ha promosso l’assemblea del 23 novembre e nei primi successivi contributi. Osservare questi scenari con gli stessi occhi o dare differenti letture rientra nei margini di autonomia che un percorso di convergenza non deve necessariamente mettere in discussione, se si condivide la necessità di scavare nei mille strati delle nostre esperienze (intese sia come cammini già percorsi che come conoscenze del mondo che ci circonda) per portare alla luce dei nodi di condivisione che possano essere (ri)generativi. Noi vogliamo qui sottolineare solo due elementi, il primo dei quali riguarda il Governo in carica. Non si tratta di agitare lo spettro di un ritorno del fascismo per mero esercizio politologico, ma di comprendere quanto l’esecutivo Meloni-Salvini possa produrre effetti devastanti su un doppio livello e con tempi diversi: da un lato un peggioramento immediato delle condizioni di vita per ampie fasce della popolazione, ampliando la forbice delle disuguaglianze sociali come unica risposta liberista all’ormai persistente sovrapporsi delle crisi (la crociata contro il reddito di cittadinanza, con tutti i limiti che questa misura poteva mostrare, è un esempio lampante di crudeltà verso le/i più deboli e di cinico asservimento ai poteri economici); dall’altro una regressione culturale che rischia di produrre pericolosi passi indietro sia sul terreno dei processi di emancipazione che nelle grandi sfide della contemporaneità (dalla questione di genere ai cambiamenti climatici, gli esempi possibili si sprecano). Una sintesi efficace di questi due piani ci sembra essere la folle gestione della questione migratoria e l’annessa volontà di implementare l’uso dei Cpr, che a Bologna solo pochi mesi fa ha generato una mobilitazione sì importante ma capace solo in parte di coinvolgere una città che per bocca dei suoi amministratori vorrebbe presentarsi come avamposto della resistenza al Governo delle destre.
Il secondo elemento che intendiamo richiamare investe la dimensione locale e le trasformazioni che stanno interessando il territorio in cui viviamo. Trasformazioni che ci parlano di un rapidissimo innalzamento dell’asticella che divide chi può permettersi di vivere nella città metropolitana da chi invece è destinato all’espulsione; di uno sfruttamento sempre più intensivo dello spazio urbano; di un’espansione delle dinamiche di rendita e speculazione; di un aumento dello sfruttamento e dell’estrattivismo legato al dilagante protagonismo di piattaforme e multinazionali. Una spinta violenta a tutto questo arriva dalla turistificazione, certo, ma la tenaglia si stringe anche a causa del processo di elitarizzazione dell’Università e dell’insediamento di nuovi centri economici che attirano nuovi abitanti ad alto reddito. Zero in condotta ha ben fotografato questa situazione parlando dell’algoritmo Bologna, ricavato dalle notizie riguardanti gli ennesimi due studentati privati che stanno per sorgere in città: 1.200 posti con prezzi di alta fascia e profitti a favore di imprese internazionali, con appena 80 letti convenzionati che comunque costeranno fino a 450 euro al mese e tutto questo dovendo aspettare un anno e mezzo per i lavori. Per l’amministrazione comunale aver ottenuto queste poche decine di posti calmierati è una vittoria, a noi pare che intanto la proporzione tra alloggi convenzionati e alloggi di lusso confermi plasticamente quanto descritto qui sopra: sempre più spazio riservato a chi può spendere, sottraendone a chi ha meno. Un girone infernale in cui questo fenomeno di sostituzione provoca un aumento generalizzato dei prezzi il quale, a sua volta, alimenta ancora di più la sostituzione e così via. Con il paradosso per cui mentre si innalza il tenore di vita medio, la permanenza a Bologna diventa insostenibile per le/i lavoratrici/ori chiamati a garantire i servizi che quel tenore di vita lo tengono in piedi: dalle/gli insegnanti alle/i conducenti dei bus, costrette/i a rinunciare a un impiego e a lasciare la città perchè pur lavorando non riescono a sostenerne il costo della vita, a cominciare dal peso esorbitante dell’affitto.
Ben scavato vecchia talpa: non un accordo, ma un processo
Convergenza, dunque, per una composizione delle lotte che sappia essere al passo con i tempi. Non ci facciamo facili illusioni e sappiamo che resteranno divergenze di interpretazione e nelle pratiche, che molte delle contraddizioni non saranno sciolte e che ogni passo avanti fatto su questo sentiero andrà difeso con tenacia. Ci sono le condizioni per riuscire? Se si pensa di sì, allora bisogna tentare. Se non se ne è così convinti, bisogna tentare lo stesso. Non partiamo da zero. Gli spazi di libertà conquistati e salvaguardati in questi anni, le occupazioni, le occasioni di conflitto e i progetti di mutualismo sviluppati dalle realtà organizzate rappresentano un patrimonio insufficiente, certo, ma capace di dimostrare che autorganizzazione e antagonismo non necessariamente sono sinonimi di utopia. Parallelamente, la mobilitazione di tante/i volontarie/i nelle settimane dell’alluvione e le grandi piazze contro la violenza maschile, in solidarietà con Gaza o per l’ambiente ci dicono due cose importanti: che la partecipazione, anche qui e ora, può andare ben oltre i circuiti militanti e che, in particolare, non è scritto da nessuna parte che le giovani generazioni intendano restare alla finestra. Da questo si può partire, ma senza semplificazioni e interrogandosi, semmai, sulla distanza che intercorre tra queste energiche mobilitazioni, le pratiche più strettamente legate all’impegno militante e le battaglie che fanno molta più fatica a prendersi la scena.
Non serve un accordo tra le parti, occorre un processo. In questo senso, registriamo come un segno di maturità quello di non aver imboccato la scorciatoia di far procedere il confronto iniziato il 23 novembre con il lancio di una scadenza purchessia e guardiamo con favore all’ipotesi di istruire un percorso di lungo respiro, per mettere in discussione ciò che va messo in discussione, per porre in dialogo le idee e valorizzare i punti di contatto che ci auguriamo emergeranno: scavare in profondità, come scrivevamo sopra. E’ questo approccio che riteniamo potenzialmente proficuo, più che un ragionamento attorno al nodo della leadership. Così come cogliamo con interesse lo spunto che inquadra le realtà organizzate come infrastrutture a supporto dei movimenti sociali e, aggiungiamo noi, come elementi di continuità nelle fasi di bassa marea. A questo proposito, ci sentiamo di suggerire l’opportunità di non tralasciare una riflessione sull’autogestione (anche) della comunicazione e dell’informazione, per aumentare il grado di indipendenza dalle scarse attenzioni della stampa mainstream e dai vincoli e modelli imposti dalle piattaforme commerciali. Solo uno tra i temi possibili, per una discussione da porre alla base di una scommessa che merita di essere tentata.
Vag61 – Spazio libero autogestito