MERCOLEDI’ 26 NOVEMBRE’014 alle 21
Il 14 novembre è stato più di un inizio. Non solo per la buona partecipazione di piazza e le importanti percentuali di adesione che lo sciopero sociale ha ottenuto a Bologna. E neanche per l’inattesa copertura mediatica che ha portato lo sciopero in cima alle colonne dei principali giornali. Quel migliaio di precarie e precari, lavoratori e lavoratrici dipendenti, migranti, disoccupati e studenti, che ha sfilato per le strade di Bologna la mattina del 14 e si è poi ritrovata in piazza Re Enzo nel tardo pomeriggio, ha fissato una pratica espansiva per aggredire uno spazio politico che sfugge tanto alla concertazione sindacale, quanto a ogni mediazione rappresentativa. Uno spazio situato tra lavoro e non lavoro, tra chi ha ancora “diritto” allo sciopero e chi rischia di pagarne il prezzo con il licenziamento, tra chi ha un permesso di soggiorno e chi non ce l’ha, tra chi viene formato alla precarietà e chi l’ha conosciuta sulla sua pelle. Uno spazio, cioè, in cui il regime del salario imposto da anni di politiche di precarizzazione e di smantellamento del welfare sembrava aver reso lo sciopero una parola priva di contenuto.
Riappropriarsi dello sciopero è stato l’obiettivo primario del Laboratorio per lo sciopero sociale di Bologna, nato, insieme ad altri laboratori in molte altre città, all’interno del percorso lanciato dallo Strike Meeting di Roma. Un percorso che ha coinvolto circa 60 città italiane, che hanno attraversato lo sciopero sociale rivendicando un salario minimo europeo, un reddito e un welfare europei, la fine del lavoro gratuito contro il destino di precarietà a cui vorrebbe inchiodarci il Jobs Act. Mentre lo sciopero sociale si è caricato di nuove potenzialità politiche penetrando nel territorio dell’inorganizzabile, ha mostrato però quanto radicato sia il ricatto della precarietà. Non è stata certo una scoperta, ma semmai la conferma del lavoro organizzativo e politico che abbiamo ancora davanti a noi. Eppure, fa ben sperare l’uso “politico” del selfie fatto da precari e precarie che il 14 novembre ci hanno inviato dai luoghi di lavoro le loro foto con addosso le spillette “Io sciopero”. Un gesto che segnala le possibilità di allargamento dei soggetti da coinvolgere nella riappropriazione dello sciopero. Così come fa ben sperare il metodo adottato dal Laboratorio bolognese, che afferma la pratica della condivisione di idee, esperienze, iniziative ed energie da incanalare nello sciopero. Un metodo che nella mattinata del 14 ci ha portato a denunciare le “fabbriche della precarietà” e a stringere contatti con chi ci lavora: dalla Conservice, consorzio di imprese partecipato da aziende e cooperative, che dal Comune prende in appalto la precarietà e la distribuisce tra i lavoratori dei musei, della ristorazione e delle biblioteche, all’ufficio tirocini dell’Università, che fornisce forza-lavoro fresca e gratuita a imprese “very smart” come il credo della Leopolda esige. Questo stesso metodo ha reso il presidio in piazza Re Enzo del tardo pomeriggio un momento di presa di parola collettiva e di connessione delle lotte: dai migranti ai tirocinanti, dalle precarie e i precari che hanno rivendicato lo sciopero dei generi ad alcuni delegati FIOM che hanno riconosciuto la necessità di allargare le maglie dello sciopero.
Lo sciopero sociale non finisce qui. Quello che abbiamo messo in campo il 14 è solo una tappa di un processo che attorno alla pratica dello sciopero vuole costruire momenti di organizzazione e comunicazione precaria. Non saremo schiavi delle scadenze, perché il tempo dello sciopero sociale batte sul medio periodo. La sfida che il Laboratorio di Bologna pone dopo il 14 novembre è di mantenere vivo questo processo anche in assenza di date, ma non di un orizzonte organizzativo comune. Questo non significa defilarsi di fronte alle novità dell’attuale fase politica. Lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL non ci troverà impreparati, se non altro perché abbiamo mostrato che l’attuale articolazione del lavoro non può più essere racchiusa dalla riproposizione, tardiva ma necessaria, dello sciopero generale. In altre parole, per essere all’altezza di se stesso, lo sciopero generale dovrà attraversare lo sciopero sociale. Il 14 novembre allora continua. “Incrociare le braccia, incrociare le lotte” deve diventare perciò il lavoro politico di ogni giorno.
Per discutere di tutto questo e rilanciare in avanti il percorso convochiamo un’assemblea cittadina per mercoledì 26 novembre a Vag61 (via Paolo Fabbri 110) alle ore 21.
> Per info: sciopero.socialeBo@gmail.com