Un primo bilancio dopo due mesi di attività
Quasi due mesi fa a partire da poche domande attorno alla questione dell’alimentazione, intesa come accesso a un pasto di qualità e a misura delle tasche di tutti, ci siamo posti la sfida di auto-organizzare almeno un pranzo a settimana. Sin da subito ci siamo trovati di fronte alla necessità e al desiderio di superare alcuni nodi, a prima vista pratici, tecnici, eppure andando a fondo tutti politici. Dove fare la spesa? Accettare il ricatto della grande distribuzione con i suoi prezzi accessibili, ma alimentando la sovrapproduzione e lo spreco, e contribuendo a strozzare la produzione locale? Come avere prodotti locali e bio a prezzi accessibili?
Come superare la logica del mero servizio? Ché di mense caritatevoli già ce ne sono. Come attivare e mettere in connessione, in un contesto di sociale convivialità, figure e soggetti molteplici?
Di seguito un primo schematico bilancio frutto delle riflessioni fatte nelle assemblee e durante i pranzi della mensa, in una pratica autoriflessiva di quanto si è dato sino a qui.
1) Accesso a prodotti di qualità a prezzi sostenibili
Ci è venuto naturale rivolgerci a quanto di già esistente e funzionante sul territorio, a partire da quanto già avviene negli spazi di Vag61, e non solo, e quindi metterci in connessione con le reti di produttori locali, l’associazione CampiAperti e il gruppo Gasbo, ma anche singole realtà di aziende locali a gestione familiare. Concentrandoci nel rendere partecipi e solidali al nostro progetto i produttori stessi.
Questo ci ha permesso di poter cucinare prodotti di qualità ad un prezzo contenuto e sostenibile e di sperimentare diverse forme di autogestione del progetto. Una prima rete di produttori l’abbiamo raggiunta ma continuo è il lavoro di ricerca e cura della relazione con chi ci fornisce i prodotti e, di fatto, prende parte al progetto.
2) Superamento della logica del servizio
Problema non di poco conto – e che non riguarda solo un’attività come la mensa ma la sfida dell’autogestione dei “servizi” in generale e dell’organizzazione della vita del “comune” – è quello di superare il modello sussidiario, assistenziale e caritatevole, così come il modello privato. Per dirlo a chiare lettere Eat the Rich non è nè una mensa fatta da volontari per bisognosi, nè un ristorante economico.
Enorme questione sicuramente non risolvibile a tavolino, ma tutta nella prassi. Il superamento di una logica meramente assistenziale rappresenta la continua posta in gioco di ogni momento di scambio e condivisione. E necessita quindi un’attenzione e un’invenzione costante per fuoriuscire dalla verticalità del rapporto utente/erogatore di servizi. Fondamentale è un attento lavoro di informazione, condivisione e confronto sulle intenzioni e i risultati che “Eat the Rich” man mano si dà e prova a raggiungere nel tempo.
Un altro passo in questo senso è stata la scelta di un’autogestione del prezzo, in dialogo con chi attraversa la mensa, e nello stimolo alla collaborazione/cooperazione dei partecipanti alla mensa. Non ci sono cuochi, lavapiatti, camerieri e avventori, tutti in ogni momento possono contribuire in modi diversi nella messa in comune di un pasto sociale.
Tutti questi aspetti, elencati un po’ schematicamente sino a qui, sono strettamente intrecciati e riempiono di senso e coscienza lo spazio politico e di socialità di “Eat the Rich”, e ne costituiscono lo spirito.
3) Mensa e non solo: una “cassetta degli attrezzi” dell’autoproduzione
In questo movimento per implementare, diversificando, la partecipazione e l’attraversamento del progetto ci proponiamo l’attivazione di laboratori sull’autoproduzione alimentare e sulla condivisione di saperi legati al tema della salute e dell’alimentazione (corsi di panificazione, pasta fresca, sicurezza alimentare assieme al CSI, autogestione di un orto assegnato al CAAB e laboratorio di costruzione di un “forno a legna di quartiere”!). Per la costruzione di una “cassetta degli attrezzi” per resistere alla crisi, per una messa in comune e la proliferazione di pratiche e saperi sull’autoproduzione del cibo. Durante le vacanze di Natale raccoglieremo adesioni e proposte per far partire i primi corsi con l’anno nuovo.
4) Ricomporre a partire dai bisogni
Un’altra esigenza è quella di allargare il più possibile la composizione sociale da intercettare e coinvolgere. Per quanto, quella studentesca e universitaria, sia una forza sempre consistente e propulsiva nella capacità di cambiamento, ci proponiamo di superare la classica divisione tra questa e tutti gli altri soggetti che vivono il quartiere e la città, nell’incontro e nell’organizzazione di un bisogno primario, quale quello del cibo e quanto ci sta attorno, ribadendo l’esigenza di una partecipazione che sia molto più trasversale e poco riducibile a banali categorizzazioni. Per fare questo è necessario anche uscire dalle mura di Vag61 e immaginare efficaci forme di coinvolgimento, oltre alle più semplici forme di volantinaggio, al contattare e incontrare direttamente le varie associazioni, collettivi e gruppi attivi nel quartiere della Cirenaica. E con la bella stagione portare “fisicamente” fuori la mensa. Non ci chiuderemo nell’utopia di una piccola isola felice ma punteremo all’invasione e al contagio!
5) Moltiplicare e diffondere – Una proposta politica
Senza nessuna pretesa di esaustività o univocità, a partire da specifiche premesse crediamo di aver costruito un possibile “modello” funzionante di mensa autogestita, e da qui ci siamo posti il problema di come sviluppare il progetto costruendo passi in avanti. La sfida che poniamo con “Eat the Rich” è scatenare processi politici a partire da un bisogno come “un buon pasto”, e dall’organizzazione di questo. Nel frattempo alcune realtà cittadine si sono affacciate e interessate alla mensa, altre le abbiamo contattate, ed è così che stiamo provando a metterci in rete con chi pratica già esperienze di questo tipo. Mappando assieme quello che già esiste e incitando ad avviare percorsi di questo tipo, a Gennaio lanceremo un’assemblea pubblica per discutere di tutto questo. Insistendo sulla necessità di moltiplicare e diffondere, scommettiamo collettivamente su questo tipo di proliferazione più che sulla semplice apertura della mensa in più giorni a settimana, perché crediamo strategico, nella crisi, la creazione di reti cittadine attorno a nodi e bisogni centrali per una “buona vita”. Una parte di lavoro politico per la costruzione di possibilità di resistenza alla miseria diffusa, una rete cittadina che possa anche prendere parola pubblicamente e con forza su determinati temi e vertenze (vedi la “grande opera” a venire F.I.CO., lo smantellamento del welfare etc…). Sarà fondamentale per i progetti delle realtà che parteciperanno, pur nel rispetto dei percorsi nella loro indipendenza ed autonomia, che si provi a giocare un equilibrio virtuoso nelle differenze, capace di produrre discorsi e pratiche condivise, e immediatamente rivolti all’esterno. Per una costellazione comune di spazi di resistenza e organizzazione dei bisogni!
Stay foolish, Stay hungry, Eat the Rich!