La Compagnia del Tinello si mette la tuta blu per sfidare il maglioncino blu di Sergio Marchionne (per l’occasione fatto nero).
Una lunga love story sul Lingotto vista dalla parte degli operai. Da Piazza Statuto 1962 a Pomigliano 2010, cinquant’anni di lotte operaie che si incrociano con le scelte dei “manager-canaglia” (Valletta, Annibaldi, Ghidella, Romiti, Franco, Montezemolo, Marchionne). Sentendo questa storia si capisce cosa siano “i corsi e i ricorsi” della storia.
– ore 20 cena a tema (metallurgia torinese)
– ore 21,30 si alza il sipario e va in scena lo spettacolo di teatro e musica
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Sinossi dello spettacolo
PIAZZA STATUTO 7 LUGLIO 1962
Il sette luglio 1962 era stato indetto lo sciopero generale, ma pochi giorni prima la Uil e il Sida (il sindacato giallo filo-padronale degli Agnelli) avevano firmato il nuovo contratto con un accordo separato. Si trattava di una vera e propria capitolazione… la mattina del 7 luglio gruppi di operai si radunarono sotto la sede della Uil, in piazza Statuto, per far sentire la loro voce.
Verso le quattro del pomeriggio la polizia che era presente in forze iniziò a fare caroselli con le camionette… gli operai risposero con i sassi… in tutta la zona ci furono scontri… fu un estenuante corpo a corpo che andò avanti fino alle quattro di notte.
CORSO TRAIANO 3 LUGLIO 1969
Il 3 luglio 1969 ancora Torino… ancora la FIAT.
Dopo alcuni mesi di lotte spontanee interne alla fabbrica le nuove avanguardie operaie, insieme agli studenti, provarono a organizzare un corteo esterno per coinvolgere la città, durante uno sciopero contro il caro-vita. La polizia caricò subito davanti alla porta 2 di Mirafiori, ma poco dopo il corteo si ricompose imboccando Corso Traiano, il grande corso davanti alla palazzina di Mirafiori…
I manifestanti tiravano le pietre della massicciata del tram e i poliziotti sparavano gas lacrimogeni.
Solo verso l’una di notte gli scontri cessarono… stava iniziando l’autunno caldo.
9 OTTOBRE 1979: 61 LICENZIAMENTI POLITICI
La lotta per il contratto nazionale dei metalmeccanici del 1979 era stata particolarmente accesa, a Torino si era fatto ricorso a blocchi stradali e forme di lotta quali l’autoriduzione della produzione.
Il 9 ottobre del 1979, al termine di un’inchiesta interna, le direzioni di stabilimento consegnarono a 61 dipendenti Fiat una lettera di licenziamento. Il capo del personale che aveva stilato la lista, disse: “Avevamo già preparato da tempo un elenco di persone contigue ai collettivi operai della Fiat”.
Nelle lettere di licenziamento la motivazione era generica e uguale per tutti:
“Le contestiamo formalmente il comportamento da lei fin qui tenuto, consistente nell’aver fornito una prestazione di lavoro non rispondente ai principi della diligenza, della correttezza e della buona fede; e nell’aver costantemente mantenuto comportamenti non consoni alla civile convivenza sui luoghi di lavoro (…)
OTTOBRE 1980: LA LOTTA DEI 35 GIORNI
Quando il 10 settembre 1980 la Fiat annunciò 14.469 licenziamenti in fabbrica fu subito chiara la portata della posta in gioco.
Le liste degli “esuberi”, risultarono essere lunghi elenchi di proscrizione: comprendevano la maggior parte dei delegati e degli operai più attivi, una grande quantità di donne, e tutti i lavoratori invalidi e quelli considerati inidonei.
Nella “nuova fabbrica” dei controlli numerici e della robotica, non ci sarebbe stato più spazio per i corpi resi inefficienti dalla scoliosi o dall’artrosi, per i cuori a rischio e le schiene bloccate.
«Questa non è una battaglia, questa è la guerra», ripetevano, ai cancelli, i vecchi operai. “Questi ci considerano una razza in via di estinzione, ma noi non siamo dinosauri”.
Sapevano che lì, su quei piazzali grigi che rapidamente si andavano affollando di tute blu e di bandiere rosse, si sarebbero giocati tutto: anni e anni di lotte, i diritti conquistati e i rapporti di solidarietà costruiti.
Sul fronte opposto, la Fiat di Cesare Romiti aveva preparato lo “scontro finale” con la determinazione di andare fino in fondo.
Nei giorni successivi, partirono cortei, presidi davanti ai cancelli, i muri esterni alla fabbrica si coprirono di immagini, di bandiere, di segni di una testarda solidarietà. I piazzali divennero gli spazi della vita quotidiana degli operai.
Ad un certo punto, la direzione Fiat decise di scendere direttamente in campo organizzando capi, intermedi e impiegati. Si mobilitarono la Confindustria, padroni e padroncini dell’indotto Fiat, parecchi bottegai e quei lavoratori diventati crumiri o resi crumiri dalla paura di perdere ill posto di lavoro.
Il 14 ottobre in 15 mila scesero in piazza, ma La Stampa titolò la marcia dei 40 mila e 40 mila divennero.
Col primo Giornale Radio del pomeriggio, arrivò la notizia che molti temevano: per la vertenza Fiat era stata raggiunta un’ipotesi di accordo che prevedeva un periodo di 36 mesi di Cassa integrazione per 24 mila lavoratori, al termine del quale, per un numero imprecisato ci sarebbe stata la mobilità esterna. .
I 35 giorni di lotta erano cancellati. Era una sconfitta secca, e i dirigenti sindacali lo sapevano, ma il giorno delle assemblee, di fronte alla massa degli operai, si guardarono bene dal dirlo.
LA FABBRICA NORMALIZZATA
Negli anni successivi, la restaurazione sfoltì ampiamente la presenza in fabbrica, il nuovo operaio che ne venne fuori era sedato e ricattato.
Invece, per le migliaia di persone che, da un giorno all’altro, si trovarono ad essere “esuberi”, espulsi dai luoghi di lavoro, ci fu una realtà di emarginazione sociale.
Per molti cassintegrati passare la giornata ciondolando in giro senza uno scopo generava diversi problemi: economici, familiari, di equilibrio psicologico,
Negli anni ‘80 a Torino si sono suicidati tanti (troppi) lavoratori Fiat in cassintegrazione.
Intanto, nella fabbrica bonificata dalla conflittualità permanente, con i giovani neolaureati, interfunzionali e un po po’ ruffiani, che avevano sotituito i vecchi ingegneri e i tecnici professionali, venne introdotto ilTmc-2, il sistema di misurazione dei tempi per l’esecuzione del lavoro elaborato nei pensatoi della Fiat.
Il lavoro e i movimenti per fare il Tmc -2 erano praticamente gli stessi di prima, ma i tempi per spostare, tagliare, avvitare, sollevare erano stati ridotti drasticamente, anche del 20 per cento.
MELFI, MAGGIO 2004
Alla Fiat Sata di Melfi, la “fabbrica modello” della produzione just in time toyotista e della nuova metrica del lavoro, nel maggio 2004, dopo 11 anni di pace sociale (seguiti alla sua apertura), scoppiò la rivolta dei lavoratori.
Fu una lotta fatta di scioperi a oltranza, di notti senza sonno, di trattativa a singhiozzo, di spola tra Roma e Melfi.
Segnò una svolta nelle relazioni sindacali alla Fiat dopo la sconfitta degli anni ottanta. I lavoratori che da sei anni stavano lottando per un salario uguale a quello degli altri addetti della Fiat e per turni meno massacranti finalmente ce la fecero a vincere.
TERMINI IMERESE 2009
Il 18 giugno 2009 Sergio Marchionne annunciava, a un incontro coi sindacati e il governo, che lo stabilimento Fiat di Termini Imerese non averbbe prodotto più auto a partire dal 2012.
Marchionne ha spiegato che la decisione era dovuta alle condizioni di svantaggio competitivo, difficoltà strutturali e costi eccessivi: «Lo stabilimento è in perdita, non possiamo più permettercelo».
Nei giorni successivi sono iniziate lotte e scioperi.
Il 19 gennaio 2010 diciotto operai sono saliti sul tetto di un capannone della della Fiat a Termini Imerese dopo aver ricevuto le lettere di licenziamento.
POMIGLIANO D’ARCO 2010
Il 14 giugno 2010 viene firmato l’accordo tra la Fiat e Fim-Cisl, Uilm, Ugl e Fismic per lo stabilimento di Pomigliano.
All’intesa non ha aderito la Fiom sostenenedo che così com’è l’accordo siglato dagli altri sindacati non può essere firmato: si tratta di un ricatto, non di un accordo. Il bidone che i “sindacati complici” hanno fatto passare è colossale.
Il 22 giugno i lavoratori di Pomigliano, vengono consultati con referendum sindacale, il sì vince ma non sfonda: solo il 62,2% ha dato il proprio consenso
La scelta era impossibile: o perdere il lavoro (è da mesi che molti sono a casa in cassa integrazione) oppure accettare un accordo che pochi anni fa nessuno si sarebbe mai azzardato anche soltanto di proporre.
I 3 LICENZIATI di MELFI
C’è un filo diretto che lega Pomigliano e Melfi: la Fiat punta ad affermare il proprio insindacabile comando, la sua idea militare dei rapporti. Ha i mezzi per intimidire.
A metà luglio 2010 sono stati licenziati tre operai della Fiat di Melfi (due dei quali delegati Fiom). L’azienda li ha accusati di aver bloccato, durante un corteo interno, un carrello robotizzato che portava materiale ad operai che invece lavoravano regolarmente. Il giudice del lavoro ha riscontrato l’antisindacabilità del provvedimento e ha deciso il loro reintegro.
Nonostante la sentenza la Fiat ha inviato ai tre operai un telegramma con l’invito a non presentarsi sul posto di lavoro.
Nella missiva il Lingotto ha fatto sapere che “non intende avvalersi delle loro prestazioni”.
CANCELLATO IL CONTRATTO NAZIONALE DI LAVORO
Nel mese di settembre 2010, con l’intesa separata sulle deroghe, Fim, Uilm e Federmeccanica cancellano nei fatti il contratto di lavoro.
L’intesa separata sulle deroghe, che introduce il principio dell’esigibilità e delle sanzioni, nei fatti cancella il diritto alla contrattazione collettiva e svilisce il ruolo delle Rsu. Inoltre, se si possono applicare le deroghe sia in caso di crisi che di investimenti, vuol dire che sono previste sempre.
Si tratta di un accordo scellerato e un attacco a tutto il mondo del lavoro.
FIAT: I DEBITI SONO DI TUTTI ED I GUADAGNI DEI SOLITI NOTI
La storia della Fiat degli ultimi decenni è quella di una multinazionale che chiude gli stabilimenti in Italia e li apre in paesi dove la manodopera costa meno.
E lo Stato italiano interviene da anni con soldi pubblici per sostenerla.
Per la Fiat la la manodopera italiana costa troppo ma la buonauscita dei suoi manager si compone sempre di cifre Cesare Romiti pari a migliaia di anni di lavoro per un operaio.
Il compenso annuale di Sergio Marchionne è pari a 435 volte il salario medio di un operaio della Fiat.
L’uomo dal maglioncino sostiene che gli operai, prima di contestare lo stipendio dell’amministratore delegato Fiat, dovrebbero chiedersi se sarebbero disposti a fare una vita come la sua.
Nello spettacolo la vita di Sergio, il “Napoleone delle utilitarie”, sarà scandagliata in lungo e in largo.
Una vera e propria Lingotto story: da Piazza Statuto a Corso Traiano, da “Vogliamo Tutto” ai 61 licenziati, dalla lotta dei trentacinque giorni alla marcia dei 40.000, da Melfi a Temini Imerese, da Pomigliano a ceo Marchionne.