Entra nella Brigata Cucinieri della Cirenaica!
Quante volte hai gustato un’ottima cena o un bel pranzo a Vag61?
Hai mai pensato che anche tu potresti dare una mano, la prossima volta? Puoi farlo, contribuendo così alla vita di uno spazio libero autogestito e dei tanti progetti che sostiene, in quartiere e non solo.
Entra nella Brigata Cucinieri della Cirenaica! Perchè la scienza del punto giusto di cottura è importante quanto la decisione dell’ora X della rivoluzione, trovare gli ingredienti giusti è più difficile che saper scegliere gli alleati migliori. Noi vogliamo che le combinazioni dei sapori si intreccino alle storie della vita, che pane e vino su una tavola fraternamente imbandita, sugellino l’umanità. Alla scoperta delle cucine degli ultimi, fatte con poco, ricche di alimenti semplici, che hanno accompagnato le vite intense di tante persone: dalla cucina della Resistenza a quella dell’emigrazione del dopoguerra, da quella degli asili pubblici del “triangolo rosso emiliano” alla cucina popolare condita sempre con buon senso alimentare e prodotti resistenti. Vogliamo riprendere le potenzialità straordinarie di quella tavola “rossa e proletaria”. Siamo consapevoli che, per riuscirci, sono necessarie una spruzzata di “semplicità naturale” e la voglia di mettere in una relazione coerente lo stomaco, il cuore e il cervello.
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BEATI I PRIMI…
Manifesto politico della Brigata Cuciniera della Cirenaia (BCC)
La rifondazione comunista è affondata… è l’ora della rivoluzione culinaria. La scienza del punto giusto di cottura è altrettanto importante che la decisione dell’ora X della rivoluzione, trovare gli ingredienti giusti è più difficile che saper scegliere gli alleati migliori. Noi vogliamo che le combinazioni dei sapori si intreccino alle storie della vita, che pane e vino, su una tavola fraternamente imbandita, suggellino l’umanità. Il cambiamento passa anche attraverso l’alimentazione.
“Ad ogni cuoca insegneremo a dirigere lo stato”, il sol dell’avvenire della rivoluzione bolscevica era racchiuso in questa semplice parola d’ordine. Così la “cuoca di Lenin” divenne una metafora che nel linguaggio politico fu usata più del prezzemolo.
Se l’orizzonte della rivoluzione è “dirigere lo Stato e non il suo annientamento… è meglio essere cuoca che rivoluzionaria” disse un anarchico poco incline alla patria dei Soviet.
Forse è anche per questo che, nella guerra civile spagnola del 1936, divenne famosa la “cuoca di Durruti”.
Una cosa comunque è certa: se qualcuno vuole avere qualche chances affinché una rivoluzione possa esser vincente dovrà creare le condizioni per le quali una cuoca sopraffina come Babette (quella del famoso pranzo) non fugga dalla Comune di Parigi per andare a preparare a dei nuovi padroni una cena indimenticabile per ricchezza, fantasia e
qualità.
E per impedire che qualche pelo finisca dentro l’uovo è meglio confutare uno degli assiomi più famosi del presidente Mao Tze Tung: chi la detto che la rivoluzione per esere tale non possa essere un pranzo di gala?
Da questo punto di vista, le parole di Manuel Vázquez Montalban dovrebbero diventare il nostro credo: “Mangiare bene e bere ancor meglio rilassa gli sfinteri dell’anima, sconvolge i punti cardinali della cultura repressiva e prepara alla comparsa di una comunicabilità che non va sprecata”.
Se uno dei problemi principali di una sinistra ormai dissolta è stata la sua incapacità di comunicare con chiarezza ai soggetti sociali di riferimento, come non ascoltare l’insegnamento di Jack Kerouac che, a proposito dei libri di cucina, scrisse parole memorabili: “Sono gli unici che ti consentono di mettere subito in pratica ciò che hai appena letto”.
Il “parla come mangi”, dovrebbe essere un invito alla semplicità e alla concretezza che noi dovremmo rivolgerci in continuazione, quasi un monito a volare bassi come approccio agli eventi della vita. Ma per far sì che tutto ciò non diventi una gabbia di invettiva pseudo-popolare è sempre meglio accompagnare il motto di cui sopra da un buon “scrivi
come bevi”, per conservare un approccio un po’ anarchico alla bottiglia. Quell’anarchia tanto cara a Luigi Veronelli, cui tutti noi, che siamo cultori del “Gusto Nudo” della vita, saremo sempre debitori.
IL CIBO COLLETTIVO E’ GIA’ TRASFORMAZIONE SOCIALE
Un tempo le attività intellettuali più genuine venivano “pianificate” a tavola. Purtroppo, questa è una delle tradizioni più belle che sono andate perse. Nelle nostre terre c’è sempre stato un legame indossolubile tra la storia dell’emancipazione sociale e la storia gastronomica.
L’attivismo politico si è spesso intrecciato col volontariato culinario.
Molto spesso lo specchio di una società solidarista lo si trovava in cucina… il pranzo e la cena sociale erano momenti d’aggregazione e di socialità molto importanti.
Ai primi del Novecento il movimento socialista, piuttosto che porsi il problema del cibo in fabbrica, preferì occuparsi dell’alimentazione operaia con attività esterne al luogo di lavoro, come mense e spacci collocati sul territorio, specie in prossimità dei quartieri operai, e
altre iniziative volte non solo alla distribuzione dei prodotti, ma anche all’approvvigionamento e alla produzione in modo da garantire prezzi sempre più contenuti sui generi di prima necessità.
Queste “cucine sociali” si erano conquistate spazi “strategici” nelle “istituzioni popolari del movimento operaio”, diventando luoghi godibili e intriganti, stimolo di rapporti sociali, politici e umani: nelle società operaie di mutuo soccorso, nelle “cameracce repubblicane”
romagnole (stanzoni dove si riunivano contadini, operai, artigiani per parlare dei loro problemi, cercando di trovare una linea comune nella contestazione ai “sabaudi” e alla Chiesa), nelle case del popolo emiliane (socialiste e comuniste), nelle aie di campagna delle
cooperative agricole e bracciantili, nelle cooperative di consumo e di distribuzione.
Per fortuna, di recente, sono state riscoperte le cucine degli ultimi, fatte con poco, ricche di alimenti semplici e nutritivi, che hanno accompagnato le vite intense di tante persone: dalla cucina della resistenza a quella dell’emigrazione del dopoguerra, da quella degli asili pubblici del “triangolo rosso emiliano” alla cucina popolare condita sempre con buonsenso alimentare e prodotti resistenti.
Noi vogliamo riprendere le potenzialità straordinarie di quella tavola “rossa e proletaria”. Siamo consapevoli che, per riuscirci, sono necessarie una spruzzata di “semplicità naturale” e la voglia di mettere in una relazione coerente lo stomaco, il cuore e il cervello,
nell’ambito di un campo d’applicazione molto vasto (alimentare e nutrizionale, agricolo ed ecologico). Rispolvereremo le vecchie ricette contadine che tanto ci dicono sulla vita di un tempo e ci fanno scoprire sapori ormai spariti dalla nostra tavola per colpa dell’omologazione culinaria che imperversa.
Intorno agli alimenti vogliamo far nascere buoni ricordi legati al valore del “mangiare insieme”. Noi vogliamo valorizzare il cibo nella sua semplicità, riscoprendo il suo legame con le stagioni, con la terra, la natura.
Il cibo può rappresentare quell’elemento di convivialità, di scambio di esperienze e di socialità, che serve per riconoscersi anche quando, purtroppo per molti, si è lontani dal proprio luogo d’origine. E’ sufficiente recarsi, ad esempio, al mercato rionale di via Albani (in Bolognina) per vedere come attorno alle bancarelle alimentari (di carne, ortaggi, cibo etnico) si ritrovino le varie comunità che ormai hanno scelto Bologna come luogo in cui vivere e lavorare. Tuttavia proprio lì, e in pochi altri luoghi, le persone possono parlare la loro lingua, scambiare informazioni, ricordi, aiuto, tutto ciò insomma che rende la vita di chi “non è a casa” accettabile e migliore.
Grazie alle comunità del cibo è possibile tornare a essere soggetti consapevoli e partecipi, realizzare forme di economia solidale, riconquistare la sovranità alimentare e sottrarsi al modello di pensiero imperante.
A tutto questo vogliamo aggiungere un ultimo ingrediente: il riciclo degli avanzi. Attiveremo un laboratorio culinario per proporre idee e ricette per riutilizzare gli alimenti che crescono e avanzano ma che non possono finire nel cestino.
PER RESISTERE QUEL FAMOSO “MINUTO IN PIÙ” DEL PADRONE
“Non abbiamo bisogno di carità, ma di reddito, diritti e dignità”. Questa parola d’ordine chiara e diretta, sta alla base di un progetto di Cassa di resistenza a sostegno delle lotte dei lavoratori contro la crisi, i licenziamenti e la precarietà.
In passato vi sono già state fra i lavoratori Casse di Resistenza e di mutua solidarietà.
La Cassa di resistenza è una forma di “concretezza solidale”, è uno dei diversi strumenti di lotta che si possono avere a disposizione: può servire per pagare le spese della lotta (materiale logistico per i presidi e manifestazioni, striscioni, materiali per la comunicazione),
gli eventuali costi legali, ma anche aiutare economicamente o con l’acquisto di beni di prima necessità chi è costretto a lunghi periodi di sciopero o di inattività lavorativa.
Quando sono messi in discussione i diritti fondamentali dei lavoratori è necessario lottare e la lotta, prima di pagare, costa. La Brigata Cuciniera della Cirenaica, mette a disposizione cuoche, cuochi e vivandieri per cene di solidarietà e di mutuo aiuto, creando eventi
in cui il cibo riacquisti la socialità che un tempo aveva. Le caratteristiche “sociali” del nostro ristoro solidale stanno nel coinvolgimento diretto delle realtà e delle persone per cui vogliamo raccogliere fondi, nell’utilizzo di prodotti tipici legati al territorio, o equosolidali, o provenienti da imprese sociali. Stanno nella realizzazione di eventi in cui le cene a tema si intrecciano con la musica dal vivo, il canto sociale, il teatro e tutte le espressioni di linguaggi e culture che aiutano ad abbattere le barriere della diffidenza.
Tutto questo per un obiettivo molto concreto: resistere un minuto in più del padrone.