Il Comune di Bologna ed il Quartiere Santo Stefano, con una lettera inviata ieri, hanno intimato alle realtà che lo rendono vivo di lasciare subito il Cassero di porta Santo Stefano, altrimenti scatterà lo sgombero. Ancora una volta, a suon di burocrazia e retorica legalitaria, chi amministra questa città vorrebbe annullare i progetti sociali, culturali e politici di chi sceglie la strada dell’autorganizzazione e dell’autogestione.
Condividiamo il comunicato con cui i collettivi di Atlantide hanno risposto alle minacce delle istituzioni ed esprimiamo loro la nostra solidarietà. Atlantide resta dov’è!
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Atlantide è uno spazio comune, non (del) Comune
Oggi, sulle sponde di Atlantide, è stato rinvenuto uno sgradevole pesce d’aprile e purtroppo non è affatto uno scherzo. Comune e Quartiere, attraverso una lettera, già anonimamente annunciata a mezzo stampa, ci intimano di andarcene entro quindici giorni, dopo quindici anni di vita in quel posto. Si tratta, in realtà, di uno scarno mandato politico per lo sgombero che sarà un reparto antisommossa ad eseguire.
“In difetto della riconsegna dell’immobile entro i suddetti termini – recita infatti il pesce d’aprile – sarà emesso a vostro carico ai sensi degli artt. 823 e ss. del c.c. ordine in via di autotutela di immediato sgombero“. Si tratta dello stesso articolo del codice utilizzato anche per i beni confiscati alla mafia, la cui finalità è quella di reintegrare la collettività nel godimento di un bene.
Eppure, Atlantide è già da sempre un bene collettivo.
Non solo stanno di fatto riducendo la nostra (r)esistenza a un problema di “ordine pubblico”, ma attraverso la retorica formale della legalità tentano persino di toglierci le parole per definirci. Insieme al danno, del resto, arriva sempre la beffa.
Quando Atlantide è entrata nel Cassero di Porta Santo Stefano nel 1997, il piano terra era vuoto e inutilizzato da diversi anni. Fino al 1993 c’era la sede di una storica sezione del PSI, la sezione “Bentini”, inaugurata nel 1945 da Francesco Zanardi. Ma non si è trattato di “riqualificazione”, bensì di riappropriazione diretta, attraverso la pratica dell’occupazione.
Atlantide non ha alcun debito, nè materiale nè simbolico, con il Comune, né con altri tipi di istituzione. Non abbiamo mai ricevuto né richiesto finanziamenti pubblici, né privati.
Al contrario, abbiamo utilizzato la nostra sede per finanziare altri progetti sociali, culturali e politici in cui credevamo. Non era sussidiarietà, è invece promozione della soggettivazione politica e del sostegno all’autodeterminazione dei soggetti con cui siamo in relazione.
Atlantide vive da più di quindici anni solo ed esclusivamente grazie all’impegno collettivo. Ma questo impegno non si chiama volontariato, si chiama autogestione. I legami sociali e politici che abbiamo costruito in questi anni sono tanti, saldi e forti, ma non sono rubricabili come “associazionismo”, perché sono il frutto dell’autorganizzazione.
Atlantide non è uno spazio pubblico in senso statuale, né uno spazio privato regolato dalle leggi del profitto. Atlantide è uno spazio comune e non (del) Comune. Un luogo di condivisione, che ha come fulcro la materialità delle vite, in un processo continuo e aperto di incontro, confronto, di rinegoziazione continua delle regole della con-vivenza sociale nello spazio di autogoverno che ci siamo date.
Per questo abbiamo deciso di sciogliere le associazioni con cui avevamo firmato la convenzione nel 2008, Donnedimondo, Lo Spazio ed Eccentrica. Per questo aderiamo al progetto di Comitato per la promozione e la tutela delle esperienze sociali di autogestione, lanciato da XM24 e raccolto da diversi spazi sociali, singolarità e realtà autorganizzate cittadine.
Non è più tempo di camuffare le nostre esperienze di autogestione e autorganizzazione iscrivendole in un registro. Non è più tempo per la “normalità” delle convenzioni.
Non è più tempo di permettere che ci mettano a(l) bando.
E’ il tempo di rivendicare a viso aperto tutto l’orgoglio per la nostra diversità.
Atlantide resta dov’è.